giovedì 26 gennaio 2017

L'acqua -jala- nell'Ayurveda e nelle sue pratiche terapeutiche


L’acqua, Jala in sanscrito, è uno dei cinque elementi, il Panchamahabhuta, costitutivi di tutta la materia dell’Universo, dal momento in cui l’Assoluto, Purusha, si è manifestato nella creazione, Prakriti.
Jala, acqua, insieme a Terra, Fuoco, Aria ed Etere, è presente in ogni cosa, perché in ogni espressione fisica per quanto piccola, microcosmica, è presente il Tutto, macrocosmo; dove l’Etere, Akash, è la vibrazione che sottende ogni cosa, ed è insieme la fonte di tutta la materia e lo spazio in cui la materia esiste; l’Aria, Vaju, è l’elemento gassoso; la Terra, Prithvi, è l’elemento solido; il Fuoco, Tejas, la forza o energia capace di mutare lo stato delle sostanze; l’Acqua, Jala, rappresenta lo stato liquido.

Poiché tutto ciò che esiste, è il risultato della diversa composizione di questi cinque elementi, tutto è classificato nella filosofia vedica, da cui l’Ayurveda discende, in base alla predominanza di un elemento; per esempio, una montagna è composta in massima parte dall’elemento Terra, ma è formata anche da tutti gli altri quattro elementi, sebbene la quota di questi sia notevolmente inferiore rispetto alla Terra, che in questo modo definisce la montagna.

Tuttavia, se è riscaldata da una intensa fonte di calore, la montagna si scioglie, si liquefa, mostra quindi la sua parte acquosa, e, perdurando il calore (elemento Fuoco), passa dallo stato liquido (elemento Acqua), attraverso l’ebollizione, allo stato gassoso (elemento Aria), rivelando in questo passaggio, attraverso il calore e la luce, l’elemento Fuoco che la pervade. E questa metamorfosi si verifica nello spazio (elemento Etere).
È importante tenere ben presente questo quadro, per comprendere come l’Ayurveda, che è la parte della filosofia vedica che si è dedicata all’aspetto della salute dell’uomo, abbia tenuto in considerazione l’Acqua, che è l’elemento prevalente nella costituzione dell’uomo stesso.
I cinque elementi infatti si combinano nella Prakriti, ovvero la costituzione dell’uomo, nella forma sottile di tre Dosha.
Dosha è una sorta di forza energetica, attiva all’interno dell’individuo, che diviene nel contempo prodotto di scarto dei cinque elementi di base: Vata è costituito da Etere e Aria, Pitta deriva da Fuoco e Acqua, Kapha da Acqua e Terra.
Vata, che deriva da Etere e Aria, è impercettibile, luminoso, mutevole, freddo, asciutto e permea tutto, governa i movimenti del corpo e della mente, è responsabile del respiro, nelle due fasi inspirazione ed espirazione, dell’escrezione, del sistema informativo del cervello, per cui dirige i processi cognitivi del linguaggio, della sensibilità, del tatto, dell’udito, dell’olfatto, regola il legame fra sentimenti e le reazioni che essi producono nel corpo o nelle singole parti del corpo, regola gli stimoli naturali, la circolazione del sangue, il vigore sessuale, presiede alla formazione del feto.
Pitta, che deriva da Fuoco ed Acqua, è caldo, pepato, piccante, acido, responsabile della vista, della fame, della sete, della digestione, della regolazione della temperatura del corpo, della morbidezza e della lucentezza del corpo, dell’allegria, della gioia, ed è il governatore dell’intelligenza e presiede al desiderio sessuale.
Kapha, che deriva da Acqua e Terra, ha in sé contemporaneamente la morbidezza e la solidità, la rigidità e l’opacità; pesante, presiede all’intera struttura solida del corpo, all’untuosità, dà al corpo stabilità, forza, perseveranza. Psicologicamente governa l’autocontrollo, ed è il responsabile del vigore sessuale nel compiersi dell’atto sessuale.


Questi tre Dosha si combinano variamente fra di loro in ogni individuo, connotandolo in modo tale che ognuno sia un individuo unico e irripetibile.
Come è facile comprendere, l’Acqua, Jala, è l’unico dei cinque elementi, che è presente in due Dosha, nel Dosha Pitta e nel Dosha Kapha; il Dosha Pitta che governa tutte le trasformazioni che hanno luogo nell’organismo, dalla digestione e trasformazione degli alimenti, alla trasformazione degli stimoli sensoriali, all’attività metabolica; il Dosha Kapha che esercita il ruolo di stabilizzare l’organismo nelle sue diverse funzioni, lubrifica, preserva, definisce, è l’attento conservatore di tessuti, cartilagini e ossa.
L’acqua è dunque l’elemento che partecipa sia a tutto ciò che è trasformazione, metabolismo, sia a tutto ciò che è stabilità e solidità.
Nell’uomo infatti, secondo il Charaka Samhita, il più antico testo di medicina del mondo, datato, nella forma scritta che noi conosciamo, intorno all’XI secolo a.C., tutte le componenti fluide e viscide, fra cui il grasso e i liquidi organici come la linfa, il sangue, il muco, i fluidi enzimatici, le secrezioni vaginali e lo sperma, hanno natura essenzialmente acquosa. Quello che però si evidenzia è che l’acqua è presente, sia pure non in modo predominante o assolutamente minimale, in tutte le parti del corpo.
Poiché ogni elemento presente nel corpo si alimenta con l’elemento corrispondente, per un principio di similitudine, è evidente che l’acqua diventa il principale alimento che l’uomo deve avere a disposizione per alimentare la sua parte acquosa così significativa, nel corso di tutta la sua vita, dalla prima inspirazione all’ultima espirazione.
La vita si svolge, ed è inconcepibile se non in questo modo, con il succedersi di tre attività: movimento, metabolismo e stabilità, ovvero energia cinetica (Vata), energia potenziale (Kapha) ed energia che regola la trasformazione dall’una all’altra attività (Pitta).
Jala dunque è presente sia in Pitta e sia in Kapha; fondamentale presenza allora: sia per sciogliere gli enzimi della digestione nello stomaco, sia per mantenere in buona motilità il contenitore, lo stomaco appunto, sia per consentire un buon transito del bolo, del chimo e del chilo dalla bocca all’intestino, sia per la salute dei vasi contenitori, dove transitano bolo, chimo e chilo.
Per questa ragione, all’acqua l’Ayurveda ha sempre guardato con grande attenzione.
La prima indicazione che troviamo come necessità esistenziale, secondo l’Ayurveda, è che si deve bere acqua al risveglio, almeno due bicchieri, acqua durante la giornata, almeno un litro, poco durante i pasti, per non raffreddare il fuoco digestivo e per non diluire eccessivamente gli enzimi della digestione, e bere ancora acqua prima di coricarsi, a temperatura ambiente o meglio se leggermente intiepidita.
Acqua, non altre bevande, non tè, non tisane, non succhi di frutta, non bevande zuccherate o dolcificate, non birra e vino: acqua, semplicemente acqua. Tutte le altre bevande stimolano il percorso digestivo, dalla secrezione dei succhi gastrici in poi, e quindi non svolgono lo stesso ruolo dell’acqua che invece transita senza innescare questi processi.
Questa è la principale indicazione della prevenzione: consentire all’elemento principale del corpo, l’acqua, di avere nutrimento e ricambio; consentire allo stomaco e soprattutto all’intestino, che è considerato il luogo fisico dove si originano la più parte delle malattie, di vivere in un ambiente pulito, salubre, equilibrato dal punto di vista energetico.
L‘Ayurveda si origina all’interno dei Veda, i libri più antichi della storia dell’umanità, per la precisione è l’appendice del IV libro, Atharva Veda, ed è considerata un dono fatto dagli dei all’uomo per vivere in buona salute, quindi ancora oggi dagli induisti è considerato un libro rivelato: il suo obiettivo è il mantenimento dello stato di salute dell’individuo, che è insieme corpo, mente e spirito, microcosmo dell’intero macrocosmo; quindi l’Ayurveda è prima di tutto un’indicazione a mantenersi in salute, vale a dire prevenzione.
Soltanto in epoche successive, di fronte alla constatazione che solo pochi individui riuscivano nella loro opera di vita salutare senza ammalarsi, l’Ayurveda diviene medicina, nell’accezione che noi diamo a questo termine, ma con sfumature differenti rispetto al significato che noi diamo a questo termine, infatti per l’Ayurveda la parte che cura lo stato di disagio, ovvero la perdita della salute, è insieme scienza e arte di ristabilire la salute quando questa si sia perduta.
Scienza perché essa ha elaborato una precisa anatomia, fisiologia del corpo umano, secondo ben precise regole universali; arte, perché nella considerazione che essendo ogni individuo, mente-corpo-anima, un caso unico irripetibile che vive in un habitat definito da molte variabili, climatiche-economiche-culturali, non si può dare un protocollo terapeutico universale.
Ogni individuo, con la sua unicità di costituzione, è un caso unico e si richiede allora un’attenta valutazione della sua Prakriti, ovvero della sua costituzione energetica, della valutazione delle stato dei suoi Dosha costitutivi e di una precisa valutazione dello squilibrio dei Dosha in quel momento, espressione dello stato di non salute che si manifesta nel fisico in forma sintomatica.
Occorre però anche valutare lo stato della mente di quella persona, il suo ambiente di provenienza, la sua cultura, la sua capacità economica, il ruolo che egli svolge nella vita nonché l’habitat climatico in cui egli vive.
Tutta questa complessa valutazione è un’arte che il terapeuta svolge tenendo conto dei principi scientifici di riferimento.
Prevenzione e cura sono due momenti distinti. Prevenire assumendo acqua, acqua e non altri liquidi, cosa che per noi, immersi nella nostra cultura dal gusto artefatto, facciamo fatica a comprendere; acqua anche quando noi abbiamo sollecitato impropriamente il gusto del corpo o sollecitato impropriamente i desideri della mente, con sostanze nocive per l’uno o per l’altra: abbiamo bevuto un caffè, non è un male, ma beviamo allora un bicchiere d’acqua in più; abbiamo esagerato con l’alcool, può capitare, beviamo allora anche fino a quattro bicchieri d’acqua in più per diluire, e ripulire il corpo dall’accumulo tossinico; siamo stati in un ambiente chiuso, chiassoso, disturbante per l’equilibrio della mente, ebbene, ripuliamoci il giorno dopo con acqua tiepida o calda. Anche i disagi della mente producono accumulo tossinico nel corpo.
L’accumulo tossinico, aama, è per l’Ayurveda la principale causa di malattia, anzi, forse l’unica causa: aama intossica lo stomaco e l’intestino, perché questi organi non riescono più a smaltire in modo corretto l’accumulo tossinico, che di qui si propaga nelle differenti parti del corpo, trovando sedi adeguate per consolidarlo e avviando così il primo stadio della malattia.
Tenendo conto che la più parte dei termini sanscriti sono così ricchi di sfumature da assumere un significato preciso solo dal contesto in cui vengono utilizzati, aama potrebbe essere vagamente tradotto con crudo, non completamente cotto, non maturo, e indica genericamente il cibo assunto dall’organismo senza essere stato compiutamente elaborato e digerito.
L’organismo non è in grado di assimilare ciò che non è stato compiutamente digerito, fatica ad utilizzarlo, solo parzialmente lo espelle e per la restante parte lo va a depositare da qualche parte ostruendo i canali energetici e rendendo faticosa l’attività degli organi interni.
Aama è il succo che nutre tutte le malattie, si legge in Charaka Samhita.
Aama si forma nello stomaco, vuoi per eccesso di cibo, vuoi per un cibo sbagliato, vuoi per un fuoco digestivo troppo basso oppure nella mente, quando non si è in grado di digerire le emozioni che la vita ci propone, di elaborare le percezioni sensoriali, i pensieri, i sentimenti, i desideri. Lo stomaco infatti è deputato a digerire non solo il cibo, ma anche le emozioni.
Anzi, secondo il Charaka Samhita, è sempre la mente che causa aama che si manifesterà poi fisicamente dapprima nello stomaco: alimentarsi eccessivamente, alimentarsi in modo improprio, in modo disordinato, sono prima di tutto fattori mentali; significa che noi attribuiamo al cibo un valore eccessivo oppure che abbiamo fatto altre scelte esistenziali trascurando la cura per il cibo, per la nostra alimentazione che è la parte privilegiata del nostro sostentamento energetico.

L’opera di prevenzione è fondamentale allora per prevenire la formazione di aama, accumuli tossinici: per questo l’Ayurveda suggerisce una sorta di rituale quotidiano in cui l’acqua ha una parte importante, non soltanto per essere assunta come elemento rigenerante e depurante, ma anche per la cura della propria persona che è insieme un fatto fisico ma anche un rituale della mente, un modo per riappropriarsi ogni giorno con atteggiamento benevolo e compassionevole del nostro corpo, che è l’unico che abbiamo e che non è sostituibile.
Ecco la liturgia: svegliarsi presto e bere acqua per depurare e stimolare l’evacuazione, che dovrebbe avvenire entro pochi minuti dal risveglio; quindi si deve procedere alle abluzioni: lavare le mani, i piedi, il viso; sciacquare la bocca, raschiare la lingua, lavare i denti, lavare le orecchie e il naso con acqua semplice, con uno strumenti adeguato in modo tale che l’acqua, entrando da una narice, esca dall’altra. Tutto con semplice acqua, solo occasionalmente si usa qualche ausilio detergente, che di norma è olio di sesamo; il sapone, così come noi lo intendiamo, non era e non è previsto. Lavarsi con acqua e lavare tutte le cavità con acqua è operazione sufficiente e non altera il naturale stato dei tessuti.
Periodicamente sono consigliati i gargarismi di acqua appena salata o di acqua con polvere di curcuma per disinfettare più in profondità. Un’attenzione particolare è rivolta alla pulizia dei denti e agli occhi è riservata una pulizia accuratissima; per una buona pulizia, infatti, si dovrebbe utilizzare acqua leggermente intiepidita, tenuta prima in bocca in modo che assorba un poco di saliva, poi si deve procedere a vere e proprie abluzioni con acqua fredda: gli occhi sono una delle principali sedi di Pitta e quindi tendenzialmente molto caldi e perciò stessi soggetti alla malattia. Raffreddare gli occhi e pulirli a fondo è un’operazione fondamentale per conservarli in buona salute; dopo la pulizia si può applicare del collirio, dell’acqua di rose o dell’infuso di Triphala.
Quando ormai però sia stato prodotto aama, si intossicano inizialmente lo stomaco e l’intestino, che non svolgono più adeguatamente il loro rispettivi ruoli di digerire e di elaborare la materia, operazioni che consentono la trasmutazione del cibo sotto forma di energia da trasferire nel corpo. Se non si interviene con iniziali operazioni di rimozione dell’ama accumulato, questo si trasferirà progressivamente in altre sedi, dando origine così alla malattia degli organi interni o di altre parti del corpo.
Aama, che è composto da cellule anomale prodotte dalla digestione non adeguata di qualsiasi alimento, in particolare di quelli ricchi di proteine e di grassi, trasmigrando attraverso le pareti dell’intestino, si diffonde nella corrente ematica e di qui si trasferisce in sedi che soggettivamente sono individuate come depositi tossinici.
In questo modo il corpo si predispone alla malattia, non solo esogena, ma anche endogena: un virus contagioso, una colonia batterica, ecc., si sviluppano in un terreno fertile, ovvero in un terreno in cui ama ha già debilitato le difese immunitarie, e in cui i sentieri dove scorre l’energia sono occlusi da percentuali più o meno alte di aama.
Maharishi definiva aama come "una sorta di colla" che depositandosi sulle pareti interne del corpo, rende difficoltosa la comunicazione energetica e il ricambio cellulare, producendo dapprima uno stato di debilitazione, che è uno dei primi sintomi dell’evoluzione dello stato di non salute, e poi la malattia conclamata.
Questo processo è estremamente subdolo (soprattutto per chi, come noi, nella nostra società, non è in grado di controllare l’alimentazione) perché è un processo lento, quasi di sedimentazione quotidiana, e i primi stadi dello stato di non salute sono asintomatici, salvo il manifestarsi di una condizione più o meno accentuata di debilitazione; quando il sintomo si manifesta, secondo l’Ayurveda la malattia è già andata oltre i primi stadi.
Per questa ragione, l’Ayurveda ha considerato fondamentale tenere pulito il corpo, evitare che l’ama possa depositarsi: l’acqua in questo progetto di pulizia, gioca un ruolo fondamentale; oltre, come abbiamo detto alla normale quotidianità di nutrire e ripulire, e alla liturgia quotidiana di pulizia del corpo, l’acqua interviene con alcune pulizie straordinarie, la prima di tutte, la più semplice, la terapia dell’acqua calda.
Si fa bollire per quindici minuti circa un litro d’acqua, la si mette in un contenitore che la tenga calda e la si beve in piccole quantità durante la giornata. Facendo bollire l’acqua per almeno quindici minuti, oltre a far precipitare una parte dei sali minerali sciolti nell’acqua, si ha l’effetto di allentare le forze di Van der Wals, le forze di attrazione delle molecole. In questo modo l’acqua diviene, se così possiamo dire, ancora più fluida e questo le consente di penetrare più facilmente nei tessuti operando una pulizia in profondità. Infatti, a lungo andare, l’acqua, durante il suo passaggio, non solo pulisce il tratto gastro-intestinale, ma penetra nei tessuti più lontani, sciogliendo l’ama che vi sia stato depositato.
Ognuno di noi dovrebbe imparare, e questo è un altro fondamentale suggerimento dell’Ayurveda, ad individuare la propria Prakriti, ovvero la propria costituzione energetica, per capire quale sia la forza del suo fuoco digestivo, quali siano i cibi che gli risultino di difficile digestione e quindi da evitare, o quelli accettabili ma da usare con moderazione, e quali siano invece i cibi che maggiormente si confanno alla sua costituzione e che diventano quindi più facilmente digeribili e nutrienti; il cibo infatti è nell’Ayurveda considerato nutrimento, medicina o veleno; ognuno dovrebbe imparare a calibrare i propri pasti, imparando a nutrirsi, in qualità e in quantità, in modo da non consentire produzione di aama.
Tuttavia questo è un piano di riferimento ideale: noi tutti, anche quando stiamo particolarmente attenti ad utilizzare una buona conoscenza della nostra costituzione, nella nostra società, condizionati come siamo da una serie di coordinate che non possiamo controllare, contribuiamo a fabbricare aama. 
Occorre dunque periodicamente procedere alla terapia dell’acqua calda. La tradizione suggerisce di procedere a questa sorta di bevuta, almeno un giorno alla settimana, mantenendo in quel giorno una dieta a base di cibo leggero, riso, frutta e verdura, evitando in particolare le proteine di origine animale.
Da praticare al cambio di stagione o anche una volta al mese, c’è la pulizia completa, dalla bocca all’ano, con la pratica di Shank Prakshalana (gesto della conchiglia), ovvero far scorrere acqua in tutte le anse del tratto gastro-intestinale. Si beve acqua leggermente salata, da quattro a sei bicchieri, a digiuno la mattina, dopo aver compiuto alcuni movimenti di Yoga per facilitare il passaggio dell’acqua, fino ad ottenere l’espulsione, e si continua a bere fino a quando l’acqua non viene data via pulita.
Shank Prakshalana è una pratica millenaria, madre per certi aspetti della moderna idrocolonterapia che, a differenza di questa, non è aggressiva, e non disturba l’energia di Vata che ha sede nel colon.
Quando ormai ama si sia consolidato, perché non si è stati accorti nella prevenzione o nelle periodiche pulizie e si sia di fronte ad alcuni sintomi conclamati di malattia, l’Ayurveda propone due ulteriori sistemi di pulizia: Vamana Dauthi, che è la procedura di pulizia dello stomaco, e Basti, che è una profonda pulizia dell’intestino.
Vamana Dauthi è in realtà costituito da due differenti livelli di intervento, il primo, Jala Dauthi, e il secondo, Vamana Dauthi vero e proprio. Il primo, Jala Dauthi, è una via di mezzo fra la terapia dell’acqua calda e il livello successivo, Vamana Dauthi, da utilizzare come vera e propria forma terapeutica.

Jala Dauthi consiste nel bere circa mezzo litro d’acqua calda a digiuno, poco dopo il risveglio, volendo leggermente salata, e dopo aver camminato un pochino, si sollecita il vomito, in modo da espellere l’acqua ingerita: questa pratica rimuove gli accumuli di Kapha o di aama non solo dallo stomaco, ma anche dalla regione dell’apparato respiratorio. Si tratta di un’antica pratica ottima per ristabilire la vitalità del fuoco digestivo e la funzionalità dell’apparato respiratorio. Tale pratica può essere praticata per esempio dopo un periodo, come le feste tradizionali tra Natale e Capodanno, in cui si è ingerito cibo dannoso per quantità e o per qualità. È suggerito anche dalla tradizione, quando vi sia accumulo di catarro, nei bronchi o nei polmoni.

Vamana Dauthi è invece opera terapeutica, è il primo dei processi che fanno parte del Panchakarma, il complesso sistema formato da cinque tappe di un progetto di profondo risanamento del corpo. Si pratica anch’esso ingerendo acqua nella quale possono essere state disciolte erbe medicamentose, come erba di liquirizia o polvere di radice di calamo, quindi si stimola il vomito. Vamana Dauthi è indicato per le malattie dell’apparato respiratorio (tonsilliti, sinusiti, infiammazioni, asma, respiro affannoso, ecc.), per le malattie della pelle e per il diabete.
Basti è la pulizia dell’intestino attraverso il clistere. Molti disordini di Vata come la sciatica, i reumatismi e la gotta, trovano grande giovamento dalla pratica del Basti. Si pratica generalmente con acqua ma anche, in taluni casi, con olio, anche se è preferibile l’acqua, al massimo con l’aggiunta di decozioni di erbe.
L’acqua dunque per il corpo, ma anche per la mente, perché un corpo che soffre disturba la mente, una mente disturbata esaspera il corpo.
Ma non soltanto acqua per il corpo: l’Ayurveda è stata la prima disciplina ad avere una visione olistica della vita; l’uomo è collocato in mezzo ad un mondo, dove tutto può essere per lui benefico, se lui stabilisce un rapporto di rispetto col mondo stesso intorno a lui.
Per questa ragione l’Ayurveda insegna a proteggere e conservare l’acqua, che è dei cinque elementi non soltanto l’elemento più rappresentato nel corpo, ma anche in tutto l’ambiente nel quale l’uomo vive.
L’acqua è una grande madre senza la quale non c’è esistenza, identificata nella cultura induista nei grandi fiumi sacri, dove si scende per lavare più che il corpo l’anima, e dove si torna in forma di cenere quando il cammino karmico si è concluso.


BIBLIOGRAFIA:

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V. V. Nanal, Principi ayurvedici per una sana alimentazione, M.I.R., 1996
Y. Ramacharaka, La cura dell’acqua, Quadrifoglio, 1970
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