martedì 21 novembre 2017

A proposito dello Yoga nelle scuole













1) Da molte parti si comincia a sostenere questo progetto, avanzato persino dal nostro primo ministro Gentiloni, di inserire Yoga come disciplina nelle scuole italiane[1]. Qualcuno si è domandato se in aggiunta ad altre materie o piuttosto sacrificandone alcune, considerate ormai obsolete, per cui potremmo divertirci, magari con una votazione di massa sul web, se sacrificare il latino o se sostituire l'educazione fisica con ore di Yoga, come sembra sostenere il primo ministro; qualcun altro propone di lasciare libertà alle scuole che possano far entrare insegnanti di Yoga un po' qua e un po' là, disseminati nell'orario settimanale, per dare calma e serenità a classi in affanno soprattutto per l'eccessivo carico di lavoro e di richieste a cui gli allievi sono sottoposti; qualcun altro ancora agogna all'inserimento dello Yoga come strumento di disciplina per giovani virgulti che ne sono privi.

Tutto questo rivela quanto poco si sappia dello Yoga, pur oggi così di moda, quanto sia travisata questa disciplina, quanto l'aspetto meramente fisico abbia preso totalmente il sopravvento in questa disciplina, che è solo accessoriamente fisica.

Da una parte sembra che Gentiloni e compagnia cantante, abbiano colto come sanno ben fare, dove andare a captare voti: Yoga è ormai, nel bene e nel male, consumo di massa; si fa dunque un regalino a tanti suoi fans, così ci si assicura un pacchetto di sostenitori, se mai si dovesse tornare a votare.

Dall'altra parte c'è la pletora di insegnanti di Yoga, a diverso titolo formati, spesso come se lo studio di questa disciplina sia il medesimo dello studio dell'informatica o dell'ingegneria, con tanto di esamini, corsi di aggiornamento, iscrizioni alle associazioni; la più parte con alle spalle un lavoro che permetta loro di praticare la nobile arte dell'insegnamento dello Yoga, tanto di moda, nelle ore libere, e che non aspettano altro che avere qualche introito in più per accedere a quei beni del mondo contemporaneo senza i quali non si può più stare come ad esempio soggiorni di pace e di serenità respirando e recitando mantra, praticando asana in un incredibile scenario offerto dalla natura incontaminata, e dove magari incontrare l'anima gemella.

Dall'altra parte ancora c'è una scuola che domanda sempre di più: prestazioni multiple, test di verifica, di livello, esami; una scuola dove il far fare è diventato norma, senza peraltro nessuna ideologia di riferimento, per cui si possa comprendere perché si deve fare tanto; una scuola sempre più a tempo pieno per sovvenire i genitori che possano continuare a lavorare tanto per consentire ai figli di fare tutto quello che la scuola richiede, che la società esige, che la moda impone. I figli, scolari o studenti, sono perennemente sotto stress a scuola e a casa,  perché sono costantemente inchiestati senza diritto alcuno di poter far niente, di annoiarsi, di avere loro personali curiosità. Quindi, in questa combutta scuola-genitori, facciamo pure uscire dal cilindro il coniglio Yoga con la finalità di rilassare i giovani, prigionieri nelle scuole, ad ore precise nell'arco della settimana: finito matematica c'è Yoga, e tu quando ce l'hai? Prima di quella di ingleseMi immagino quando l'ora di Yoga possa capitare fra due ore di compito in classe di greco e prima del test di matematica, sai che relax!

E infine, da un'altra parte ancora ci sono coloro che immaginano il potere disciplinante dell'ora di Yoga; a quelli davvero altro non saprei dire se non che la disciplina si impara prima di tutto a casa, in famiglia, insieme all'educazione e al rispetto per l'altrui persona. E quale disciplina potrà mai essere insegnata a studenti in appena raggiunta età adolescenziale autorizzati dai genitori e dalla società, a trascorrere serate e nottate in libertà alcoolica? Sento uno stridore infastidente fra questa idea dello Yoga come strumento di disciplina e coloro ai quali dovrebbe rivolgersi, forse ad essere disciplinati dovrebbero essere i genitori.

Al di là di questa mia visione di questi amari tempi, in cui anche Yoga è globalizzato, massificato, adulterato, frainteso, manipolato, c'è proprio la questione che si apre sull'opportunità di distillare Yoga all'interno di un orario di lezione e persino mi induce a chiedermi come mai non sia ancora venuto in mente a nessuno di introdurre anche un'ora settimanale di massaggio indiano durante la quale gli allievi possano vicendevolmente manipolarsi, o meglio ancora, l'obbligo di un settimanale bagno turco, che peraltro a tanti giovani farebbe molto bene e soprattutto aiuterebbe a migliorare la qualità dell'aria che si respira nelle classi; cogliendo per di più l'occasione di far lavare da uno stuolo di bidelle le scarpe da ginnastica o da sport degli allievi, in quel momento insinuati fra i vapori bollenti, e che raramente sono sottoposte a questa operazione di pulizia.

Considerato lo stato pietoso in cui riversano la più parte delle scuole italiane, per scarsa o nulla manutenzione, immagino studenti con tanto di scarpe e di vestiti praticare qualche asana seduti sui banchi; considerato inoltre che in questi decenni non si è mai arrivati nella scuola italiana ad introdurre lo studio della musica e che, anzi, si sono tagliate ore di materie importanti come la geografia (l'occhio della storia) o l'arte, giunge ben strana questa sollecitazione ad introdurre Yoga nella scuola, tanto da domandarsi cui prodest.

Infine, la domanda da porsi è se lo Yoga sia disciplina introducibile nella scuola diventandone materia obbligatoria. Bisognerebbe comprendere di quale Yoga stiamo trattando; a me sembrerebbe di comprendere che chi sta proponendo questo progetto nelle scuole, in realtà abbia in mente soltanto la parte dello Yoga chiamata Hatha Yoga, quella che per certi aspetti, è oggi, nel nostro mondo occidentale considerata una sorta di ginnastica rivisitata, una ginnastica dolce con una maggiore attenzione al respiro.

2) Considero la condizione Yoga quella nella quale l'uomo è unito a Dio[2], e l'Hatha Yoga è uno degli strumenti che la disciplina Yoga propone per giungere a quella condizione di unione. Dunque anche Hatha Yoga, pur nella sua prevalente fisicità, fa parte di un complesso sistema, che ha una precisa finalità. Estrapolarlo per farne un uso a sé stante, è già di per sé fare qualcosa che Yoga non è e diviene quel che per molti è già, una dolce ginnastica con un'attenzione al respiro. Se così è, non vedo la ragione per cui gli insegnanti di educazione fisica non possano oltre che predisporre squadre di pallavolo o far salire gli allievi sulle corde o sulle parallele, dedicare una parte del loro tempo ad una ginnastica dolce con una maggiore attenzione al respiro. E se così non è, ovvero se immaginiamo che si tratti di una proposta di un primo livello di accesso alla disciplina, si dovrebbe avere chiaro che la sua natura, la natura dello Yoga, è intrinsecamente religiosa e si dovrebbe essere consapevoli che la prevalente religione degli allievi italiani è il Cattolicesimo, che ai suoi vertici si è espresso, anche recentemente, in modo negativo a riguardo dello Yoga accettandone la pratica soltanto come mero esercizio fisico[3]; anche se in ambito cattolico le posizioni sembrano essere piuttosto variegate soprattutto nelle missioni in Oriente, lo stesso Papa Francesco però, che appare così aperto su tante tematiche, su questo specifico tema si è espresso chiaramente sostenendo che Yoga e Zen sono inutili, bisogna aprirsi allo Spirito Santo[5].

Parlare di questo possibile conflitto all'interno della scuola non significa che mi erga a paladino della Chiesa Cattolica, ma semplicemente indico che, forse, chi tanto auspica l'introduzione dello Yoga nelle scuole non ha preso in esame questo aspetto, che deve invece essere anche considerato alla luce del fatto che la scuola italiana, che si professa laica, consente agli allievi di essere esonerati dall'insegnamento della religione e di conseguenza si dovrà poter essere esonerati anche dall'eventuale ora di Yoga; nel caso in cui Yoga fosse invece considerato mero esercizio fisico e assimilato pertanto o integrato alla pratica di educazione fisica, credo che dovrebbe optarsi anche per l'eventuale esonero motivato, così come è oggi possibile ottenere l'esonero dalle lezioni di educazione fisica.

Ammettiamo di poter superare questi ostacoli di natura apparentemente pratica ma anche di sostanza, e pongo un altro elemento di riflessione, legato a quello che nella tradizione yogica è la componente che precede l'accostarsi al semplice livello di Hatha Yoga, asana e pranayama, costituita dai due aspetti: etica, yama, e disciplina, nyama. Il primo, yama, riguarda i comandamenti morali: non uccidere, non mentire, non rubare, controllo dei sensi, non essere avari[6]; comandamenti simili a quelli di altre religioni, fra cui quella cristiana, che generano condanna per chi non vi si attenga e tuttavia contestualmente il non attenersene è ampiamente tollerato nella vita civile e sociale.

La domanda che mi sorge a questo punto è per quale ragione l'Occidente, e nella fattispecie il nostro paese, di tradizione cristiano-cattolica pur professandosi laico, che si è vieppiù allontanato dalle sue pratiche religiose con un processo attivo e progressivo che dura ormai da cinquant'anni, abbia bisogno oggi di cercare altrove quelle regole morali di cui era già al corrente e di cui ampiamente è trasgressore. Mi appare singolare questo progressivo allontanamento da una fede delle origini, che pur nella laicità trasferisce nella pratica quotidiana le forme dell'identità e del riconoscimento come popolo, per far assimilare ai più giovani qualcosa che non appartiene alla loro cultura né a quella dei loro padri né a quella dei loro avi e che proviene da un mondo lontano non solo geograficamente, ma culturalmente e soprattutto spiritualmente. O, forse, questa premessa etica della parte pur considerata la più fisica dello Yoga, si pensa di saltarla a piè pari, così come si saltano i principi etici non solo della cristianità, ma patrimonio di molte altre religioni, e infine di quelli che potremmo chiamare principi della morale naturale, quella che governa gli spiriti laici che non si riconoscono in una religione, ma non per questo sono privi di intensa spiritualità.

Trovo preoccupante questa cultura da tarda e obsoleta New-Age, che si rivolge a un patrimonio che nasce lontano e fuori dalla propria cultura di origine, che lo frammenta e ne importa la parte più materiale e infine lo globalizza a scapito della cultura e dell'identità locale, senza peraltro aggiungere o supplire alla crisi di valori morali che affligge l'Occidente[7].

Il secondo aspetto, nyama, riguarda la disciplina, o meglio un insieme di discipline fisiche e psichiche, la prima delle quali riguarda la pulizia del corpo, che si fonda su una sana alimentazione e sulla purificazione del corpo dalle tossine; a questo proposito mi sembrerebbe che forse sarebbe molto più opportuno introdurre nelle scuole corsi di formazione sull'alimentazione educando i giovani ad accostarsi al cibo con rispetto e senso della sacralità, perché imparino a discernere e ad evitare il cibo spazzatura e tutti quei fronzoli della cultura alimentare contemporanea così cari a tanta gioventù appassionata di cose chimicamente buone e piene di tossine; i nostri allievi, molti dei quali in sovrappeso proprio per errori di alimentazione, avrebbero bisogno di essere rimessi a contatto con la Natura, aiutati a riconoscere gli alimenti secondo la scansione della stagionalità, ad apprendere gli effetti devastanti sul lungo periodo dello zucchero e ad imparare a riconoscerlo come occulto negli alimenti e soprattutto in molte delle bevande che prediligono; dovrebbero essere aiutati a riconoscere gli alimenti freschi e vivi da quelli morti, educandoli al gusto e a saper individuare la tipologia di alimenti più adatti alla loro condizione fisica e psichica, e infine educarli a riconoscere e interpretare le etichette esplicative di ogni prodotto.

Al di là di questo resta la domanda: è importabile Yoga come materia di studio sia pure teorico-pratica nella scuola italiana? A meno di non essere nati in India o di non essere nati in una famiglia che pratica abitualmente Yoga è chiaro che l'incontro con lo Yoga non avviene con naturalezza, non ci si cresce insieme, quindi occorre incontrare Yoga per qualche motivo, e non è sufficiente che qualcheduno ce ne parli, occorre un passo di avvicinamento ovvero scegliere di accostarsi a questa pratica di cui si è venuti a conoscenza, deve esserci quindi prioritariamente uno scatto della volontà individuale; e di questo stato individuale si parla nei più antichi testi della cultura indiana laddove Yoga è un incontro, non un'imposizione, ed è un incontro che non a tutti è dato di fare nella vita.

Questo scatto della volontà che può essere suscitato da informazione, curiosità, o necessità, conduce verso due differenti tipologie di accostamento allo Yoga: una rappresentata dall'idea che praticare Yoga faccia prima di tutto bene al corpo, vuoi perché si è manifestata qualche difficoltà o qualche patologia e si ritiene che la pratica Yoga possa essere di qualche utilità tale da non poterla rinvenire in altre pratiche, come la frequenza di una palestra, di un corso di ginnastica postulare ecc., vuoi perché si immagina che la frequenza di un corso di Yoga possa aiutare il rilassamento, offrire una migliore condizione di pace e serenità alla propria mente; l'altra tipologia è invece rappresentata da coloro che, in qualche modo, sono alla ricerca di una forma di spiritualità che induca a ritrovare il senso della vita, ad offrire una risposta al perché del qui ed ora, ad individuare il rapporto di sé e dell'uomo in genere con l'Universo, universo inteso come insieme di individui posti nello stesso Cosmo; in questo caso è possibile che si stia cercando la Via dello Yoga, che è ben oltre il livello dell'Hatha Yoga, anche se questo livello ne è parte imprescindibile.

Questo insieme di persone in esplorazione si accosta e vive il suo incontro con questa antica disciplina: ognuno a suo modo; fra coloro che cercavano rimedio corporale, taluni ne traggono grande profitto, altri si rendono conto che quei lenti movimenti, quel mantenere le posizioni, quel particolare rapporto fra movimento e respiro, non risponde a quello che si aspettavano; di quelli che ne traggono grande profitto taluni sono stimolati verso un approccio più profondo e si accostano alla meditazione e seguitando si avviano sulla Via dello Yoga. Lo stesso discorso, pur partendo da premesse differenti, appartiene anche alla seconda categoria dove si trovano taluni che muovendo da Hatha Yoga procedono con studio e dedizione e soprattutto con la pratica sul cammino dello Yoga, altri trovano una risposta sufficiente alle loro aspettative in quel poco di pratica settimanale che possono condurre in un gruppo, altri ancora non trovano quello che avevano in mente e speravano di trovare, talvolta attribuendone la causa al maestro che non sa offrire quel livello di spiritualità che stavano cercando, per cui o abbandonano o proseguono nella loro ricerca di una guida idonea alle loro aspettative o scelgono altre vie, vuoi di provenienza orientale, vuoi di antica o recente origine occidentale.

Tutto quanto esposto per sottolineare che ognuno, quando vuole, ha il suo incontro con lo Yoga, ma non sempre, può accadere infatti che questo incontro non avvenga; ognuno ne trae un'esperienza, dalla quale può o non può iniziare un viaggio, e utilizzo iniziare perché incamminarsi sulla Via dello Yoga è un percorso iniziatico.

Per tutte queste ragioni immagino che portare Yoga nelle scuole non sia soltanto un'esperienza inutile, ma sia infine un'esperienza a tutto danno dello Yoga, e per questo sono giunto a immaginare che queste campagne di massificare ancor di più Yoga, in realtà abbiano la finalità di inflazionare un titolo fino a fargli perdere ogni valore.




[2] Traggo da André Van Lysebeth, Imparo lo Yoga, trad. it., Milano, 1975: La condizione Yoga è quella nella quale l'uomo è unito a Dio, idea che ritroviamo nella parola "religione", detto altrimenti esprime la condizione nella quale l'uomo apparente è unito all'uomo reale, con la riscoperta della sua vera natura e di una vita conforme ad essa. Le tecniche Yoga formano una disciplina grazie alla quale l'uomo si forza di giungere alla condizione Yoga.
[3] Una pagina di Famiglia Cristiana di recentissima pubblicazione sembra non lasciare dubbio alcuno su questa posizione, laddove persino lo Yoga è quasi accostato ad una pratica di Satanismo http://www.famigliacristiana.it/articolo/lo-yoga-e-un-rischio-per-la-salute-spirituale.aspx.
[4] Si può leggere a questo proposito l'interessante articolo di S. Brancolini, dove si cerca di mediare le posizioni della Chiesa con la pratica dello Yoga http://www.passioneyoga.it/blog/2014/06/15/e-compatibile-la-pratica-dello-yoga-con-la-fede-cristiana/.
[6] Per una corretta interpretazione invito alla lettura di Mircea Eliade, Lo Yoga - immortalità e libertà, trad. it., Rizzoli, 1995, in particolare le pagg. 58 e segg.
[7] Mi piace, a questo proposito, riportare la riflessione di Amadio Bianchi: Personalmente sono contrario alla globalizzazione, in modo particolare a quella sciagurata che ha "raso al suolo" le nostre meravigliose culture locali, orgogliose della loro diversità, qualità, quest'ultima, tipica, intrinseca, sacra della natura. Insomma io vedo come attraverso la globalizzazione una volta di più l'uomo si rende protagonista di atti vandalici e di vera e propria ignominia verso il mondo. Cfr. Amadio Bianchi, La gioia di vivere con lo Yoga e la YogaTerapia, SpazioAttivo ed., 2013, pag. 9.

giovedì 2 novembre 2017

La Luna Piena nel Canto XX dell’Inferno

Nel Canto XX dell’Inferno, Dante situa la quarta bolgia, dove mette in scena veggenti, indovini, maghi e streghe.






















Chiesa di Santa Maria Novella, Cappellone degli Spagnoli, affresco di Andrea di Bonaiuto, Firenze, Italia [1].

Un Canto complesso, che vede sfilare una sequenza di personaggi, e che si chiuderà con l’apparizione della Luna piena, presentata questa volta sotto la simbologia di Caino.


Canto molto discusso dalla critica, per più di un motivo, fra cui due presunte inesattezze che Dante avrebbe commesso, e per la sua utilizzazione strumentale da parte di quanti ne vedono la condanna di tutto quello che appartiene alla sfera del non razionale, facendo mostra di non comprendere che tutta la Divina Commedia si sviluppa tanto sul piano razionale didattico, quanto su quello esoterico.


Il Canto riguarda quelli che avrebbero preteso di guardare avanti, come i veggenti o gli indovini e quelli che avrebbero utilizzato queste conoscenze per finalità malefiche. A costoro Dante infligge la pena del contrappasso di muoversi come partecipassero ad una lenta processione con il volto totalmente girato all’indietro…


E vidi gente per lo vallon tondo
Venir, tacendo e lacrimando, al passo
Che fanno le letane in questo mondo.
Come 'l viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso.
vv 7-13
E vidi una folla che avanzava nella gran valle circolare. Silenziosa e piangente, al ritmo delle processioni nel nostro mondo. 
Quando il mio sguardo scese più in basso su di loro, ognuno mi apparve essere rivolto mostruosamente all’indietro tra il mento e l’inizio del cazzo.


Silenti e voltati indietro perché hanno parlato troppo e troppo hanno guardato avanti, sembra essere questa una punizione esemplare, eppure Dante prova per loro infinita pietà nel vedere come il corpo, creato ad immagine di Dio, sia così stravolto tanto che le lagrime dei dannati scendono fra le natiche, e lui stesso, a tale vista, viene preso da pietà e commozione, così che si mette a piangere suscitando la dura reazione di Virgilio, il quale lo rampogna in quanto non può esserci pietà laddove si esprime il giudizio divino.



Per confortare il suo rimprovero, Virgilio esorta Dante a guardare la schiera di peccatori e comincia a indicargli inizialmente alcuni personaggi del mondo classico che ebbero il torto di guardare oltre, di scrutare il cielo per dedurne segni da utilizzare per tentare di modificare il corso degli eventi o, ancor peggio, di influenzare le persone con le loro visioni. In questo contesto Virgilio coglie l’occasione di raccontare le origini della sua città natale, Mantova. Quindi il Canto volge rapidamente al termine con la presentazione di alcuni indovini dell’età contemporanea a Dante, Michele Scoto e Guido Bonatti, ambedue consigliere dell’Imperatore Federico II, e Virgilio indica su un gruppo di donne...


Vedi le triste, che lasciaron l'ago,
la spola e i'l fuso, e fecersi 'ndovine;
fecer malie con erbe e con imago.
vv 121-123

Canto controverso, dove manca una figura potente di riferimento, e ad occupare la scena, è Virgilio con il racconto delle origini della sua città, ma che è stato soprattutto interpretato come una condanna dell’astrologia e della preveggenza, pur con diversi giudizi critici.

In realtà Dante in questo Canto, che dalla critica cristiana, passando dall’illuminismo fino al Novecento, ha voluto vedervi una condanna degli indovini e dell’astrologia, non fa questo. Dante piuttosto indica persone che hanno praticato queste arti per finalità non buone.

A partire dal primo di questi personaggi, Anfiarao, che avendo avuto la visione della sua morte all’assedio di Tebe, cercò di sottrarsi al suo impegno militare, ma comunque poi partecipò e trovò la morte, passando da Tiresia che viene mutato in donna non per le sue profezie, ma piuttosto perché aveva percosso con un bastone due serpenti che amoreggiavano e poi mutato nuovamente in uomo, quando percosse ancora due serpenti nel medesimo atteggiamento, e fino a Michele Scoto che utilizzò le sue conoscenze per frode, Dante non accenna mai all’arte della divinazione o dell’astrologia, ed anche nella visione delle donne che abbandonano il loro ruolo di casalinghe, c’è la condanna per l’aspetto magico malvagio.

Nella chiusa, dove si fa riferimento alla Luna piena, Virgilio indica un aiuto che la luna avrebbe dato a Dante nel momento della sua perdizione e dell’inizio del suo viaggio, dove invece non c’è traccia di questo. La critica si è espressa variamente su questa svista, offrendo molteplici interpretazioni. Appare tuttavia non casuale che in un Canto dedicato a chi ha frodato con le conoscenze, infine si cada in una banale svista, a meno di non pensare alla misericordiosa interpretazione dell’uomo e dei suoi limiti.

Porto questo Canto, per questa meditazione del Plenilunio, perché non si cada nell’equivoco di fare, come si suol dire, di un erba un fascio, ovvero che non si può condannare un’arte perché qualcuno di quelli che la professano, ne fa uso improprio, altrimenti lo stesso potrebbe valere per tutte le altre professioni. Dante condanna l’inganno, la frode, l’uso malvagio, che si può fare utilizzando una conoscenza.




[1] All’interno del Cappellone degli Spagnoli di Santa Maria Novella, precisamente nella parete in cui vi è il “Trionfo di San Tommaso”. Nell’affresco, partendo dall’alto si hanno le sette virtù, suddivise nelle tre teologali, Fede, Speranza, Carità, e nelle quattro cardinali, Prudenza, Temperanza, Giustizia e Fortezza, simboleggiate da angeli di vario colore. A destra e a sinistra di San Tommaso si trovano i quattro evangelisti con San Paolo, che espressamente dichiara di predicare un suo vangelo, e a sinistra cinque personaggi dell’Antico Testamento, tra i quali si nota Mosè con Giobbe, David, Salomone e Isaia. Nel registro inferiore si trovano quattordici stalli decorati, nei quali siedono le personificazioni muliebri delle sacre scienze (a sinistra) e delle arti liberali (a destra), ai piedi di ciascuna delle quali si trova un illustre rappresentante. Ciascuna di esse è protetta da un pianeta, secondo una tradizione pitagorica ripresa nel medioevo da Michele Scoto, san Tommaso d’Aquino e Dante.


lunedì 16 ottobre 2017

Il dono di INDRA

Al saggio Bharadvaja viene consegnato il messaggio dell’Ayurveda, che consisteva nella conoscenza di questi tre pilastri...eziologia, sintomatologia, terapia. Subito Charaka si prodiga ad aggiungere che...questi tre pilastri riguardano tanto gli individui in buona salute quanto i malati.


Da questo ventiquattresimo versetto del primo capitolo si evincono due fondamentali concetti, il primo riguarda l’eziologia, ovvero la ricerca delle cause della malattia, che precede la sintomatologia, ovvero l’analisi dei sintomi con cui una malattia si manifesta; si tratta di un importante valutazione, che verrà poi confermata nel dettaglio in più parti del testo, riguardante la manifestazione della malattia, secondo la quale i sintomi appaiono come conseguenza di una causa, che potrebbe essere attiva da tempo, prima che si manifesti in una qualche forma che diviene appunto sintomo. La conoscenza delle cause è il punto saliente del secondo concetto, quando riguardi gli individui in buona salute; infatti la conoscenza delle cause, che inducono la malattia, è fondamentale per non ammalarsi.

Se richiamiamo all’attenzione il primo dei tre valori dell’esistenza terrestre, così come l’avevano individuati i saggi, preoccupati dall’insorgenza delle malattie, il Dharma, inteso come rispetto delle regole per restare in armonia con l’ordine universale, si chiarisce ancora di più quale sia la visione dell’Ayurveda, relativamente allo stato di salute e alla malattia.

La prevenzione – il termine non è del tutto appropriato, soltanto usato qui come indicazione approssimativa – secondo questa antica lettura del mondo, è la logica conseguenza di un naturale rispetto per il mondo circostante: l’individuo è collocato in un ambiente e con quello interagisce; questa interazione coinvolge tutti gli individui e ognuno di loro ha la responsabilità di mantenersi in salute anche per consentire a tutti gli altri di restare in armonia con l’ordine universale e di conseguenza la salute dell’individuo è causa primaria per la salute di tutti.

Ho detto che prevenzione non è termine del tutto appropriato, in quanto questo termine ha assunto nella nostra cultura il senso di attuare un insieme di operazioni atte a contrastare il realizzarsi di eventi non desiderati, per cui, per esempio si pongono dei dissuasori per impedire che si transiti in un certo luogo al fine di evitare ingorghi o, come accade in tempi più recenti, aggressioni o attentati; in ambito medico si previene l’insorgenza dell’influenza nelle persone debilitate con una opportuna vaccinazione, da effettuare all’inizio della stagione, in cui quel malanno potrebbe diffondersi. Non è questo il significato da attribuire all’idea che ha l’Ayurveda di mantenersi in salute, perché non c’è bisogno di mettere in atto specifici interventi per contrastare l’insorgere della malattia, dovrebbe essere infatti sufficiente il rispetto delle regole per restare in armonia con l’ordine universale, e conseguentemente attenersi agli altri due valori dell’esistenza, Artha e Kama.

Il primo dei tre pilastri indicati da Indra diviene così l’essenziale strumento per mantenere la salute e, contestualmente, il punto di partenza per affrontare lo studio della malattia, che si completa con l’analisi dei sintomi. Infatti, è nel contestualizzare la sintomatologia e nel risalire alle cause che sono all’origine di quei sintomi, che si potrà porre in atto la terapia. Soltanto questo percorso può riguardare gli individui che hanno perso la salute e si trovano nello stato di salute. L’estensore del versetto 24 aveva pertanto ben chiaro cosa riguardasse chi era in salute e chi invece era malato; distinzione di non poco rilievo, che fa dell’Ayurveda non soltanto una medicina, e neppure non soltanto un medicina preventiva, ma è filosofia di vita.



Il versetto 24 si chiude con l’affermazione dell’eternità del dono di Indra...i tre pilastri sono eterni rivelati da Brahma fin dall’origine. L’ordine universale è contestuale alla Creazione dell’Universo, e in questo ordine si colloca anche l’Ayurveda.



giovedì 12 ottobre 2017

L'origine divina dell'AYURVEDA


Il più antico testo di medicina indiana, Charaka Samhita, che resta peraltro uno dei più antichi testi scritti al mondo[1], nonché il più antico testo di medicina in assoluto, dopo le iniziali parole, che definiscono l’ambito dell’argomento...noi tratteremo innanzitutto della durata della vita così come il maestro Atreya l’ha esposta...fa seguire la narrazione di come l’Ayurveda abbia un’origine divina, avendola trasmessa Brahma[2] a Prajapati, il Signore delle creature, il quale, a sua volta, lo trasmise agli Ashivin, i gemelli divini che erano considerati i medici degli dei, che, a loro volta, lo comunicarono a Indra[3].


Si dichiara così l’origine divina dell’Ayurveda, che sembra tuttavia rimanere appannaggio degli dei, fino a quando non accadrà, come poco dopo sarà raccontato, che gli uomini si rivolgano a Indra, il quale, a sua volta, la trasmetterà loro, tramite alcuni saggi.
In questo senso la rivelazione divina non rappresenterebbe una novità rispetto ad altri libri considerati ugualmente rivelati, come la Bibbia, il Corano, ecc., se non per il fatto che, in questo caso, sono gli uomini a chiedere l’intervento della divinità, e non è dunque la divinità che, all’origine dell’universo, entra in rapporto con la creazione dell’uomo, e nemmeno è la divinità, che, autonomamente, interviene per rivelarsi all’uomo, sotto differenti spoglie.

Sono gli uomini infatti a rivolgersi alla divinità, e questo rivolgersi ha una ragione ben precisa, come è scritto...quando sono apparse le malattie causa di molteplici ostacoli al ravvedimento degli errori, alla pratica dell’astinenza, allo studio, alla buona condotta e alla buona salute.
Si dà dunque per scontato che gli uomini fossero già apparsi sulla Terra, e che avessero avuto una loro progressiva evoluzione, e che, evidentemente, da uno stato di salute primigenio, li avesse condotti a una condizione di malattia.


Interessante leggere come venisse considerata la malattia, seguendo il racconto di Charaka, e quali conseguenze essa si riteneva producesse sia sul singolo individuo, sia sulla collettività; la buona condotta infatti non può non avere ricadute sulle relazioni interpersonali e quindi sulla salute di tutta la comunità; marginalmente è interessante anche la notazione relativamente alla malattia come impedimento allo studio, da intendersi come bisogno di conoscenza e fonte di consapevolezza, studio inteso come forma di evoluzione personale, la qual cosa sarà meglio chiarita qualche riga dopo, proseguendo nelle lettura del testo.

Alcuni saggi, considerando che gli uomini si trovavano in quelle condizioni conseguenti allo stato di malattia, si riunirono in assemblea in un luogo scelto...nei contrafforti dell’Himalaya, dove...illuminati dalla magnificenza del loro ascetismo e purificati al fuoco delle offerte, tutti presero posto per deliberare sotto i migliori auspici.
Il problema su cui preliminarmente i saggi si concentrarono, fu quello dei tre valori dell’esistenza terrestre, ovvero...il rispetto delle regole per restare in armonia con l’ordine universale – Dharma – il controllo attento nella gestione dei beni materiali – Artha – la soddisfazione che può derivare da un buon controllo dei sensi – Kama – i quali tutti e tre consentono di liberarsi dal conflitto della dualità – Moksha – .
Solo seguendo questi valori si esalta la salute, vivendo nell’assenza della malattia; la malattia, a sua volta, altera questi valori, e la salute vien sempre meno, e con essa infine viene meno la vita stessa.
Mi pare oltretutto di significativo interesse che il primo di questi valori sia quello di restare in armonia con l’ordine universale, la qual cosa fa di questo primo testo di medicina, anche il primo testo di ispirazione ecologica ed olistica; questa precisa relazione fra individuo e universo rende tutt’oggi l’Ayurveda di grande ispirazione filosofica e ideologica, e per il suo afflato profondamente spirituale, la rende quasi una forma di religione.

Partendo da questa considerazione, ovvero che il discostarsi dall’osservanza delle tre regole fosse il più grosso ostacolo per gli esseri umani nel condurre la loro vita, i saggi stabilirono di trovare un rimedio a questa condizione di malattia, e la loro meditazione indicò loro di rivolgersi a Indra, che sembrava essere il solo in grado...di svelare gli strumenti per contrastare le conseguenze di questo flagello.

Il saggio Bharadvaya si offrì di recarsi alla dimora di Indra, e quando gli fu dappresso gli rivolse questo messaggio...Signore degli dei, sono apparse delle malattie, che seminano il terrore fra gli esseri viventi; potresti tu rivelarmi il metodo efficace per disfarsene? Indra ascoltò, e, dopo aver apprezzato la potente intelligenza del saggio, gli trasmise...in poche frasi i segreti dell’Ayurveda.




[1] Sulla datazione del testo c’è un’ampia letteratura; un’interessante disanima si può leggere in Le radici dell’Ayurveda, a cura, e con un saggio, di Dominik Wujastyk, Adelphi, 2011.
[2] Brahma, nei più antichi testi vedici, è il principio assoluto che tutto precede e da cui tutto procede.
[3] Indra è la più grande divinità della religione induista, detiene il potere temporale, protettore dei popoli a lui devoti.