lunedì 22 gennaio 2018

Dalla Divina Commedia alla New Age e ritorno





























Dopo il tramonto della Luna, al Canto X del Purgatorio, oggetto della nostra meditazione dello scorso mese di dicembre, l’astro torna a far capolino al Canto XVIII:

La luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer più rade,
fatta com’un secchion che tuttor arda;


e correa contra ’l ciel per quelle strade
che ’l sole infiamma allor che quel da Roma
tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.


Purgatorio, XVIII, vv.76-81

La luna, passata quasi la mezzanotte,
con la sua luce ci faceva apparire le stelle meno fitte, meno numerose,
simile ad un grosso secchio molto luminoso;

e saliva in alto nel cielo in direzione contraria a quella
illuminata dal sole quando chi abita a Roma
lo vede scendere oltre l’orizzonte tra la Sardegna e la Corsica.



Il Canto XVIII viene dopo la spiegazione della struttura morale del Purgatorio da parte di Virgilio, avvenuta nel Canto precedente, che da molta parte della critica è considerato strettamente unitario con questo. E il ricorso alla temporalità segnata dalla Luna, si colloca a metà di questo XVIII Canto. In realtà siamo a metà dell’intera opera, infatti se consideriamo 99 Canti, il XVII del Purgatorio diviene il 50° dell’intero poema, e se consideriamo 100 Canti, diviene il 51° Canto. A metà quindi dell’intero poema, Dante lascia spazio a Virgilio perché traduca in chiave quasi fisica – la struttura del Purgatorio – la filosofia morale definita dal pensiero di San Tomaso relativamente al concetto chiave del Cristianesimo, l‘uomo e la sua naturale propensione all’amore.

Ogni creatura prova amore, naturale o d’elezione, distinti così come aveva indicato San Tomaso nella Summa teologica; l’amore è innato in ogni creatura e la distinzione fra naturale ed elettivo apre anche al profondo concetto del libero arbitro. Se dunque l’amore naturale è insito nell’uomo ed è tale da condurlo all’amor di Dio, il secondo può essere improprio perché diretto verso un oggetto sbagliato oppure diretto con scarsa o troppa veemenza. Virgilio elenca i modi i cui l’amore può essere indirizzato erroneamente e sottolinea a Dante che l’amore è insieme fonte di virtù o di peccato, ed è l’uomo che con la sua libertà può scegliere come e dove indirizzarlo.

Virgilio dettagliatamente spiega che l’amore preserva l’uomo, che non può volere il male di sé stesso, e che lo conduce naturalmente a Dio, di cui egli fa parte, e dal quale non può essere diviso; troviamo in questa visione, quella oggi così sottolineata dalle culture orientali, soprattutto quella indiana del micro/macrocosmo. Pertanto ne consegue che se l’amore è mal indirizzato può persino diventare non-amore nei confronti del prossimo, che può manifestarsi in desiderio di sopraffare il prossimo, brama di dominio, ovvero superbia, nei confronti di chi ha di più manifestandosi nel sentimento dell’invidia, e infine nei confronti di coloro che ci hanno fatto un torto manifestandosi nel desiderio di vendetta, non riuscendo a contenere l’ira scatenata. Questi tre errori che diventano peccato si scontano nelle cornici dove Dante e Virgilio hanno già sostato, quindi più in basso nella montagna del Purgatorio. Virgilio prosegue con l’analisi di un altro tipo di errore, quello di chi desidera un bene, ma non sa impegnarsi, per differenti ragioni, nel modo adeguato ad ottenerlo, e cadono nel peccato di accidia, di cui si farà argomento in questo XVIII Canto, dove si porrà un’ulteriore riflessione sul libero arbitrio. Quindi Virgilio racconterà del malo modo di interpretare l’amore gli avari e prodighi, i golosi e i lussuriosi, che incontreremo nelle balze superiori.

Da questa unità, che lega i due canti XVII e XVIII, possiamo trarre alcuni spunti di riflessione che possono aiutarci anche a rivedere la concezione filosofica della nostra matrice cristiana, in primo luogo l’idea dell’uomo come parte integrante della creazione e parte stessa della divinità. L’idea quindi di un microcosmo nel macrocosmo, come vediamo, non è soltanto appartenente al mondo orientale e vedico in particolare; pur sempre detto in modi differenti l’idea che l’uomo porti con sé la scheggia dell’Assoluto che ne fa parte integrante dell’Assoluto stesso ovvero della creazione, è ben presente anche nel Cristianesimo, e codificata nella Summa di San Tomaso d’Aquino, e di cui si trova eco nelle parole di Madre Teresa di Calcutta...Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe. Importante non è ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo; bisogna fare piccole cose con grande amore.




















La seconda riflessione riguarda il libero arbitrio che è al di là di quello che potremmo chiamare il comune denominatore dell’appartenenza all’Assoluto: ognuno nasce con un patrimonio di Amore, tocca poi a lui gestirlo, liberamente, nel bene e nel male. Anche questa osservazione ci rimanda all’Oriente vedico, e in particolare all’idea di Karma, secondo la quale ognuno nasce con un patrimonio di indicazioni e condizionamenti; tuttavia sta a lui poi farne uso, lasciandosi condizionare da quel patrimonio o trascendendolo.

La terza riflessione è sull’Amore. Ognuno nasce orientato all’Amore, condizionato dall’Amore divino, che ognuno può o non può riconoscere nei suoi simili. E qui riprendo ancora il pensiero di Madre Teresa quando dice...Per noi nessun uomo è troppo misero per non essere l’immagine di Dio. Non si possono amare due persone in maniera totale; ma si possono amare le persone in maniera totale se in tutte si ama Gesù. Non vedo il povero ma vedo Gesù che soffre nel povero e dice: Avevo fame e mi avete dato da mangiare...





















L’Amore di cui soprattutto dalla New Age in giù si è così tanto parlato e si parla con entusiasmo nei circoli di cultura e orientamento orientale, era ben codificato nella cultura cristiana. Ecco dunque cosa propongo attraverso questa Luna che sfuma la luce delle stelle per questa nostra meditazione: una riflessione meditata o una meditazione riflessiva su questi tre aspetti che ho citato e sulla loro ben radicata presenza nella cultura cristiana e quindi nella comune matrice del pensiero Occidentale, che qui voglio riscattare, e con questo non sminuisco affatto quello che può provenire dall’Oriente, ma esorto a riflettere, meditando, che spesso per sete di novità o di moda, andiamo cercando lontano quel che abbiamo a casa nostra.

Nessun commento:

Posta un commento