mercoledì 24 gennaio 2018

Tanto per darsi una regolata


Sono molti negli ultimi tempi a pubblicare nei loro post informazioni approssimative relativamente ai diplomi o agli attestati di Corsi di Massaggio, in ambito olistico, con particolare riguardo all’eventuale riconoscimento del titolo. In alcuni casi ho letto anche un riferimento alla Legge n.4 del 14 gennaio 2013, Disposizioni in materia di professioni non organizzate. E altrettanto dicasi per le notizie che vengono date relativamente alla figura dell’Operatore del Benessere.


Cerchiamo di fare ordine: la Legge a cui si fa riferimento non fa minimo accenno specifico né agli operatori del massaggio, né agli Operatori del Benessere. La Legge infatti riguarda le professioni non organizzate in ordini o collegi. Non è esatto dunque affermare che la Legge in oggetto indichi una qualsivoglia modalità di svolgimento dei massaggi e neppure ovviamente fa cenno ad una qualsivoglia distinzione fra quanto attiene ai massaggi terapeutici e altre tipologie di massaggio, e neppure accenna a qualsivoglia rischio di sconfinamento in ambiti di pertinenza sanitaria o estetica, in primis perché non definisce nessuna delle figure professionali non organizzate in ordini o collegi, quindi né quella del Massaggiatore Olistico né quella dell’Operatore del Benessere.
La Legge invece stabilisce che la qualificazione delle prestazioni professionali si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche UNI (Art. 6, comma 2) e di conseguenza l’UNI ha nel corso di questi anni emanato una serie di norme riguardanti le professioni non organizzate, fra le quali, negli ultimi tempi, la norma sulla Figura Professionale del Naturopata (giugno 2013), la norma Insegnante di Yoga – requisiti di conoscenza, abilità e competenza (dicembre 2016) e la norma sul Professionista del Benessere Psicofisico con il Massaggio Bionaturale (giugno 2017 in fase di pubblicazione).


Da questo ne consegue che non è vero che non esista un percorso formativo ufficiale atto a formare le figure di cui sopra, ovvero Naturopata, Insegnante di Yoga, Operatore del Massaggio Bionaturale. Da questo ne consegue che non può essere vero che tutti gli attestati rilasciati dalle scuole operanti sul territorio nazionale abbiano la stessa validità, in quanto le scuole che si sono adeguate alla normativa UNI potranno rilasciare un certificato conforme alla Legislazione e Normative Vigenti, e di conseguenza non è vero che non vi sia alcun riferimento legislativo in materia.
L’ignoranza del percorso che legislativamente si sta compiendo nel settore delle Discipline Olistiche e/o delle Discipline del Benessere, proviene spesso non tanto da una assenza di informazione, ma dalla precisa volontà di far finta che nulla accade e continuare a proporre corsi di formazione, che ormai sono dichiaratamente estranei alle indicazioni legislative.


A questo proposito è bene sottolineare che il SINAPE FeLSA CISL, Sindacato Confederale del Settore, sta da anni operando con grande attenzione a tutta questa materia in via di definizione, e che è l’unico ente che tuteli la categoria a 360 gradi, di cui è possibile aver conto con la semplice consultazione del sito, dove si trovano non solo gli elementi normativi, ma anche una schiera di servizi offerti a tutti gli operatori che abbiano interesse a “mettersi in regola” e soprattutto a tutelare gli iscritti alle loro associazioni o coloro che frequentano i loro corsi.

lunedì 22 gennaio 2018

Dalla Divina Commedia alla New Age e ritorno





























Dopo il tramonto della Luna, al Canto X del Purgatorio, oggetto della nostra meditazione dello scorso mese di dicembre, l’astro torna a far capolino al Canto XVIII:

La luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer più rade,
fatta com’un secchion che tuttor arda;


e correa contra ’l ciel per quelle strade
che ’l sole infiamma allor che quel da Roma
tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.


Purgatorio, XVIII, vv.76-81

La luna, passata quasi la mezzanotte,
con la sua luce ci faceva apparire le stelle meno fitte, meno numerose,
simile ad un grosso secchio molto luminoso;

e saliva in alto nel cielo in direzione contraria a quella
illuminata dal sole quando chi abita a Roma
lo vede scendere oltre l’orizzonte tra la Sardegna e la Corsica.



Il Canto XVIII viene dopo la spiegazione della struttura morale del Purgatorio da parte di Virgilio, avvenuta nel Canto precedente, che da molta parte della critica è considerato strettamente unitario con questo. E il ricorso alla temporalità segnata dalla Luna, si colloca a metà di questo XVIII Canto. In realtà siamo a metà dell’intera opera, infatti se consideriamo 99 Canti, il XVII del Purgatorio diviene il 50° dell’intero poema, e se consideriamo 100 Canti, diviene il 51° Canto. A metà quindi dell’intero poema, Dante lascia spazio a Virgilio perché traduca in chiave quasi fisica – la struttura del Purgatorio – la filosofia morale definita dal pensiero di San Tomaso relativamente al concetto chiave del Cristianesimo, l‘uomo e la sua naturale propensione all’amore.

Ogni creatura prova amore, naturale o d’elezione, distinti così come aveva indicato San Tomaso nella Summa teologica; l’amore è innato in ogni creatura e la distinzione fra naturale ed elettivo apre anche al profondo concetto del libero arbitro. Se dunque l’amore naturale è insito nell’uomo ed è tale da condurlo all’amor di Dio, il secondo può essere improprio perché diretto verso un oggetto sbagliato oppure diretto con scarsa o troppa veemenza. Virgilio elenca i modi i cui l’amore può essere indirizzato erroneamente e sottolinea a Dante che l’amore è insieme fonte di virtù o di peccato, ed è l’uomo che con la sua libertà può scegliere come e dove indirizzarlo.

Virgilio dettagliatamente spiega che l’amore preserva l’uomo, che non può volere il male di sé stesso, e che lo conduce naturalmente a Dio, di cui egli fa parte, e dal quale non può essere diviso; troviamo in questa visione, quella oggi così sottolineata dalle culture orientali, soprattutto quella indiana del micro/macrocosmo. Pertanto ne consegue che se l’amore è mal indirizzato può persino diventare non-amore nei confronti del prossimo, che può manifestarsi in desiderio di sopraffare il prossimo, brama di dominio, ovvero superbia, nei confronti di chi ha di più manifestandosi nel sentimento dell’invidia, e infine nei confronti di coloro che ci hanno fatto un torto manifestandosi nel desiderio di vendetta, non riuscendo a contenere l’ira scatenata. Questi tre errori che diventano peccato si scontano nelle cornici dove Dante e Virgilio hanno già sostato, quindi più in basso nella montagna del Purgatorio. Virgilio prosegue con l’analisi di un altro tipo di errore, quello di chi desidera un bene, ma non sa impegnarsi, per differenti ragioni, nel modo adeguato ad ottenerlo, e cadono nel peccato di accidia, di cui si farà argomento in questo XVIII Canto, dove si porrà un’ulteriore riflessione sul libero arbitrio. Quindi Virgilio racconterà del malo modo di interpretare l’amore gli avari e prodighi, i golosi e i lussuriosi, che incontreremo nelle balze superiori.

Da questa unità, che lega i due canti XVII e XVIII, possiamo trarre alcuni spunti di riflessione che possono aiutarci anche a rivedere la concezione filosofica della nostra matrice cristiana, in primo luogo l’idea dell’uomo come parte integrante della creazione e parte stessa della divinità. L’idea quindi di un microcosmo nel macrocosmo, come vediamo, non è soltanto appartenente al mondo orientale e vedico in particolare; pur sempre detto in modi differenti l’idea che l’uomo porti con sé la scheggia dell’Assoluto che ne fa parte integrante dell’Assoluto stesso ovvero della creazione, è ben presente anche nel Cristianesimo, e codificata nella Summa di San Tomaso d’Aquino, e di cui si trova eco nelle parole di Madre Teresa di Calcutta...Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe. Importante non è ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo; bisogna fare piccole cose con grande amore.




















La seconda riflessione riguarda il libero arbitrio che è al di là di quello che potremmo chiamare il comune denominatore dell’appartenenza all’Assoluto: ognuno nasce con un patrimonio di Amore, tocca poi a lui gestirlo, liberamente, nel bene e nel male. Anche questa osservazione ci rimanda all’Oriente vedico, e in particolare all’idea di Karma, secondo la quale ognuno nasce con un patrimonio di indicazioni e condizionamenti; tuttavia sta a lui poi farne uso, lasciandosi condizionare da quel patrimonio o trascendendolo.

La terza riflessione è sull’Amore. Ognuno nasce orientato all’Amore, condizionato dall’Amore divino, che ognuno può o non può riconoscere nei suoi simili. E qui riprendo ancora il pensiero di Madre Teresa quando dice...Per noi nessun uomo è troppo misero per non essere l’immagine di Dio. Non si possono amare due persone in maniera totale; ma si possono amare le persone in maniera totale se in tutte si ama Gesù. Non vedo il povero ma vedo Gesù che soffre nel povero e dice: Avevo fame e mi avete dato da mangiare...





















L’Amore di cui soprattutto dalla New Age in giù si è così tanto parlato e si parla con entusiasmo nei circoli di cultura e orientamento orientale, era ben codificato nella cultura cristiana. Ecco dunque cosa propongo attraverso questa Luna che sfuma la luce delle stelle per questa nostra meditazione: una riflessione meditata o una meditazione riflessiva su questi tre aspetti che ho citato e sulla loro ben radicata presenza nella cultura cristiana e quindi nella comune matrice del pensiero Occidentale, che qui voglio riscattare, e con questo non sminuisco affatto quello che può provenire dall’Oriente, ma esorto a riflettere, meditando, che spesso per sete di novità o di moda, andiamo cercando lontano quel che abbiamo a casa nostra.

venerdì 12 gennaio 2018

YOGA terapia


1. Nella massiccia adesione alla pratica dello Yoga, declinata in tutte le sue forme, più o meno consone e persino più o meno legittimate dal chiamarsi con tale nome, si è fatta strada, in molti proponenti e in molti utenti, anche l’idea che lo Yoga possa guarire da tutti i mali, fisici e non, quasi fosse una sorta di panacea universale.
Si leggono parole, a proposito di questa idea, che perplimono per la superficialità con cui vengono utilizzate, come se la pratica dello Yoga potesse guarire da mali del corpo e della mente attraverso pratiche talvolta ridotte alla mera frequentazione di qualche seminario di pochi giorni di durata. Poco ci manca che venga proposto un qualche estratto da esibire alle fiere come elisir di eterna giovinezza.
Così, a costo anche di diventare impopolare, mi sento di esprimere, con molta chiarezza, che la pratica dello Yoga non è una medicina e non cura nessuna malattia; d’altra parte basta guardarsi con occhio critico intorno per comprendere quanto sia vero, altrimenti i suoi adepti sarebbero quanto meno immuni dalla più parte delle malattie, almeno da quelle più banali come l’influenza, il raffreddore, la tosse, e quant’altro è possibile invece riscontrare durante una lezione di Yoga.
La pratica dello Yoga, senza innestarsi in un adeguato stile di vita e senza l’ausilio di opportune terapie, come insegna l’Ayurveda, che dello Yoga, attinente alla Spirito, è la componente corporale – due facce della stessa medaglia – da sola può veramente poco in termini di risanamento dai mali fisici, forse qualcosa di più può fare per il disagio emotivo, ma anche in questo caso lo stile di vita deve essere il quadro certo in cui inscrivere la pratica, e non possiamo neppure sottacere l’insegnamento chiave dell’Ayurveda, ovvero che mente e corpo sono un’unità, e neppure si può trascurare che i mali prima di manifestarsi nel corpo sono nati nella mente.
Se dunque la pratica Yoga può aiutare la mente a ritrovare il suo equilibrio, certamente il corpo ne avrà beneficio, soprattutto se questo nuovo impulso della mente indurrà a vivere secondo uno stile di vita salutare. Tutto questo percorso non può avvenire immediatamente, e sebbene si possano avvertire dei benefici anche dall’iniziale pratica di Yoga, il risultato di ottenere un migliore stato di salute non sarà certamente immediato, ma necessita di continuità: la pratica dello Yoga non può essere occasionale, affidata a qualche fine settimana in qualche luogo di fascinazione naturale, per quanto si debba ammettere che la frequentazione di scenari naturali sia beneficio per chiunque, a prescindere che essi siano goduti compiendo serene passeggiate o standosene comodamente sdraiati davanti all’orizzonte aperto o compiendo pratiche Yoga o anche semplici esercizi fisici.



2. Dovremmo forse meglio chiarire di cosa si parli quando si parla di Yoga, soprattutto quando se ne parla in relazione ad una sua funzione terapeutica; oggi il termine è utilizzato in modo talvolta decisamente inappropriato per indicare pratiche che con Yoga non hanno nulla a che fare, e il fatto stesso di dover specificare con un ulteriore appellativo, è già indicativo di una deformazione, in quanto la pratica Yoga di per sé non avrebbe bisogno di nessuna specificazione. Yoga della risata, ad esempio, per quanto possa essere gradevole e di liberazione di emozioni represse, con lo Yoga ha ben poco a che fare; alla stessa stregua immaginare che Yoga possa essere pratica ascritta fra le discipline sportive o parasportive, è travisare completamente il senso dello Yoga, che di per sé non può essere competizione, neppure con sé stessi: la pratica dello sport prevede la competizione o anche semplicemente la ricreazione; Yoga non prevede competizione, anche se ahimè oggi molti si espongono e si propongono con questo intento, e non è ricreazione, anzi è impegno.
È sufficiente scorrere i post di un qualsivoglia social network per rendersi conto di come la parola Yoga sia piegata alle più diversificate proposte, congiunte all’offerta di soggiorno relax in SPA o in agriturismo o in luoghi naturali di grande pregio e piacevolezza, come sia congiunta all’occasione di festività come il Capodanno piuttosto che il Ferragosto, insomma uno specchietto buono per tante allodole.
Yoga non è una medicina, pertanto non guarisce, può essere un valido aiuto, questo è indubitabile, ma non si può prescindere da uno stile di vita sano, e per questo si avvale dell’Ayurveda, tanto che si può a ragion veduta affermare che Yoga e Ayurveda sono due facce della stessa medaglia, la prima volta al sostegno soprattutto della mente e la seconda soprattutto del fisico. Separare queste due filosofie di vita, come ormai avviene solitamente, è già di per sé disconoscere la funzione dello Yoga.
L’esercizio fisico che lo Yoga propone, nella sua componente di Hatha Yoga, ovvero la pratica con asana e tecniche di respiro, ha un grande potere di riequilibrio psicofisico, che possiamo a buon titolo chiamare terapeutico, ma non può prescindere dalla cura del corpo, da uno stile di vita appropriato; soltanto se integrato all’interno di un percorso, Hatha Yoga può avere prodigiosi effetti su alcuni organi interni, su alcune condizioni del corpo fisico, su alcune problematiche di tipo psicosomatico, e soprattutto sull’apparato locomotore. Tuttavia anche questo percorso terapeutico non ha nulla di miracoloso, non ha magici effetti di immediata percezione, ed è bene ribadirlo, è un percorso che richiede tempo e paziente dedizione; il miglioramento che può riscontrarsi in una parte del corpo fisico, si ottiene lentamente, con applicazione, e talvolta, è utile anche questo ribadirlo, con applicazione quotidiana, non certo ottenibile attraverso un fine settimana o una settimana intera nel luogo delle meraviglie, dove si può stare certamente molto bene, imparare anche molte buone cose, ma non altrettanto certamente ottenere risultati miracolosi, come molti immaginano o si aspettano, restando poi, nel prosieguo delusi e rammaricati per la spesa inutilmente sostenuta.



3. Prendendo in mano il più antico testo di Hatha Yoga, Hathapradipika di Swatmarama, in una delle prima asana che vi sono descritte, Matsyendrasana, ci si imbatte in questo commento...La pratica di Matsyendrasana stimola il fuoco gastrico. 
Risultati immagini per matsyendrasanaSi tratta di un’osservazione sulla finalità di un’asana, oltre che sul piano meramente osteomuscolare, sul piano fisico; poco dopo, descritta l’esecuzione di Mayurasana, l’autore aggiunge che questa asana...elimina rapidamente tutti i disturbi della milza e dello stomaco, preserva dai disordini degli umori (gastrici), alimenta il fuoco gastrico, difende dagli eccessi di cibo e persino dai veleni. Sono due esempi, che indicano quanto, fin dalla prima stesura di testi a noi noti, si ponesse di attenzione agli effetti che alcune asana potevano avere anche per un corretto funzionamento degli organi interni; i suggerimenti che troviamo sparsi in buona parte delle descrizioni delle asana o delle tecniche di pranayama, sono per lo più indicati nel rispetto di quella che era l’anatomia e la fisiologia ayurvedica. Ed è di particolare interesse che all’inizio della V lezione si sottolinei la necessità di eseguire con correttezza i vari esercizi, sia di Hatha Yoga sia di pranayama, fin qui proposti, avvertendo che...colui che pratica erroneamente lo Yoga può contrarre disturbi di Vata. Un’avvertenza che dovrebbe essere ben tenuta in considerazione ancora oggi, insieme al successivo consiglio di chiudere le sessioni di pratica con Shavasana, in quanto...assumendo (questa) posizione la muscolatura si rilassa totalmente e di conseguenza il Prana fluisce liberamente; il Prana è il respiro vitale, l’essenza stessa della vita.


Il linguaggio squisitamente legato alla cultura in cui erano state prodotte sia l’Ayurveda sia lo Yoga non verrà superato fino alla pubblicazione del libro di Iyengar, pubblicato a Londra nel 1964, e scritto per un pubblico che era ormai al di fuori dell’India, nel mondo, dove la pratica di Yoga aveva cominciato a diffondersi e per questa stessa ragione Iyengar nella prefazione sentì di dover scrivere che...tutti i commentari antichi sullo Yoga hanno sottolineato che è essenziale lavorare sotto la direzione di un Guru (maestro) e, sebbene la mia esperienza provi la saggezza di questa regola, in questo libro ho tentato, con tutta umiltà, di guidare il lettore – sia maestro che studente – ad un metodo corretto e sicuro per imparare le posizioni (asana) e le tecniche respiratorie (pranayama). L’autore era consapevole sia che la pratica dello Yoga aveva ormai travalicato i confini dell’India, sia che essa aveva inevitabilmente cominciato a diffondersi al di là della formazione tradizionale all’interno dell’India. Per questo, dopo una lunga dettagliata esposizione della filosofia che sottende la pratica dello Yoga, e dopo aver dato i contenuti base dello stile di vita che deve accompagnare questa pratica, l’autore comincia a descrivere le singole asana e per ognuna di queste fornisce i benefici, che riguardano sia la struttura osteomuscolare, sia il corpo nella sua interezza, compreso la parte mentale.



Il libro di Iyengar uscì in traduzione italiana nel 1993, quando si cominciava anche nel nostro paese a confrontarsi con le nuove filosofie orientali, con la Medicina tradizionale cinese, con l’Ayurveda e con la pratica Yoga. La prima traduzione italiana di Hathapradipika risaliva al 1970, a cura di una piccola coraggiosa casa editrice di Torino, Savitry, ma il libro ebbe una diffusione limitata e restò prezioso documento di una ristretta cerchia di cultori; nel 1975 fu pubblicato, per conto di Mursia, il testo di André Van Lysebeth, Imparo lo Yoga, stampato a Parigi sette anni prima e che corredava la descrizione dell’esecuzione delle asana con indicazioni sui benefici che esse potevano produrre sugli organi interni e sulla salute del corpo nella sua interezza, dove fra l’altro si trova una bellissima analisi relativa all’adattamento della pratica fuori dall’India...l’occidentale che consulti la letteratura sullo Yoga può essere frastornato dalla divergenza di idee fra gli autori, sia per quanto riguarda la frequenza che varia da una a più esecuzioni quotidiane, sia per la durata consigliata che oscilla da qualche secondo fino a venti minuti. Dov’è la verità, chi sbaglia? Nessuno. Da un certo punto di vista tutti hanno ragione. Basta capirsi. Vi sono vari modi di praticare lo Yoga. Lo yogi indiano pratica diverse volte al giorno e mantiene le posizioni fino a venti minuti. Ma l’adepto occidentale, che dispone di solo mezz’ora al giorno da consacrare allo Yoga, dovrà riservare alle posizioni in media due o tre minuti...Più di quaranta anni fa, Van Lysebeth aveva colto quale profonda differenza si stesse definendo fra Yoga praticato in India dagli yogi e Yoga praticato in Occidente da adepti, spesso come aveva indicato Iyengar, anche senza alcun maestro.

4. Da questi stimoli editoriali si muove la concezione di poter utilizzare la pratica Yoga in forma mirata, finalizzata a ristabilire l’equilibrio psicofisico in una parte del corpo o in un suo ambito precipuo, concezione che a sua volta ha prodotto una interessante bibliografia, con alcuni pregevoli testi, che giunge fino ai libri, che allo stato attuale rappresentano una summa, di Gabriella Cella e di Amadio Bianchi.



La ragione più profonda della scelta di scegliere sequenze di Hatha Yoga in forma definita, mirata per raggiungere un preciso obiettivo, consiste tuttavia proprio in quell’aspetto di differenza che Van Lysebeth aveva colto, ovvero che bisogna restringere la propria attività in un tempo limitato: se il tempo è poco, meglio è dunque concentrarsi nel raggiungimento di un obiettivo.La pratica di una sequenza mirata alla risoluzione di un problema, condotta con perseveranza, se inserita in un adeguato stile di vita, può divenire un valido aiuto, può in alcuni casi offrire una soluzione definitiva ad un problema; tuttavia ad essa non si deve chiedere più di quello che può dare, per cui non si deve sopravvalutarne il benefico effetto fino ad immaginare che possa essere la panacea per ogni male o l’elisir di lunga vita. Yoga chiede pazienza e dedizione, solo a queste condizioni fornisce un contributo alla stabilità psicofisica.La ricerca di una sequenza idonea alle problematiche individuali, che è naturalmente una specializzazione all’interno di un percorso di Yoga, non può essere frutto di immaginazione o di scelte condotte da autodidatta, ma deve essere affidata a chi ha una conoscenza della pratica di Yoga e dell’Ayurveda, che ne è il complemento indispensabile quando si tratta della salute del corpo.