sabato 9 settembre 2017

VianDante...

La Divina Commedia – Spunti per la Meditazione del Plenilunio

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.



In più di un’occasione, simile a questa, che ci prepariamo ad avviare in questo nuovo anno sociale, ovvero di meditazione, mi era capitato di riflettere che la Divina Commedia avesse un incipit, che era il porsi nella meditazione; la prima volta che mi accadde di affrontare questa riflessione fu moltissimi anni fa, a Roma, alla Scuola di Ayurveda, quando la nostra maestra condusse noi allievi del primo corso, in una meditazione guidata – per inciso, quando ero agli albori dei miei studi in Ayurveda – e suggerì di considerare la meditazione come una pausa che una persona compie nel cammino della sua vita. Ripensai subito all’esordio della Divina Commedia, e questa riflessione mi ha accompagnato frequentemente, quando mi accingo a guidare una meditazione o a praticarla. 

Così mi è capitato di soffermarmi sulle parole di Dante, che sono sempre state interpretate in senso cronologico, ovvero come indicatore dell’età fra trenta e quaranta anni, come lo stesso Dante aveva affermato nel Convivio[1] riprendendo con molta probabilità un versetto di Isaia…in dimidium dierum meorum vadam ad portam inferi[2]

Tuttavia nessuno mi vieta di poterlo ritenere, anche in senso più generale, come una sosta nel mezzo di una strada, cammin, nel senso figurato di luogo: fermarsi nell’incedere quotidiano, offrirsi una sosta nell’affannosa corsa, che tutti gli uomini, soprattutto di questi tempi, sono costretti a compiere per stare al passo con le richieste della vita; sostare per valutare dove si stia andando, riappropriarsi del senso della vita che viviamo, soppesare gli obiettivi che ci sia è dati, e sottoporli a verifica, sostare per sospendere il chiacchiericcio della mente. 

Quanti di noi, oggi, decidono di offrirsi una sosta nell’affannosa corsa che compiono quotidianamente, e per questo stabiliscono di affrontare un cammino; chi si pone sulla via di Santiago de Campostela, chi sulla via Francigena, ripercorrendo percorsi secolari[3] di chi riponeva nella vita un senso, che non era solo quello materiale, o chi si pone in viaggio magari soltanto per ritrovarsi, per ritrovare la via e la vita[4]

L’idea di cammino animò i cavalieri di Francia, che decisero di andare a liberare il Santo Sepolcro, e attraverso una letteratura amplissima, che vede eroine mettersi in cammino per ritrovare il loro uomo o il loro sposo, a partire da quanto si può leggere nelle Metamorfosi di Apuleio[5], con il nome di favola di Amor e Psiche[6], fino ad arrivare alla moderna visione di chi si mette on the road[7] per rompere con gli schemi tradizionali della società, il cammino ha rappresentato sempre un modo di interrompere una realtà consolidata, di tentare forse soltanto di uscirne per un po’, un modo per ritrovare qualcosa che si è perduto, in primis sé stessi[8]

Non mi pare allora di essere fuori luogo se sento di poter interpretare quella sosta dantesca come una sosta nel mezzo di una via-vita, che può avvenire, per scelta o per accadimento[9], a qualsiasi età[10].

Questo è il primo motivo, per cui ho scelto di utilizzare quanto dalla Divina Commedia poteva essermi utile per affrontare il ciclo delle Meditazioni del Plenilunio, nel corso di questo anno sociale, 2017-2018.

Un altro motivo però, nel tempo, mi si era fatto strada nella mente: la Divina Commedia resta per l’Occidente un punto di riferimento culturale essenziale, basti pensare che oggi fra i centri più accreditati di studio dantesco c’è il Dartmouth College degli Stati Uniti[11], che la Divina Commedia è stata tradotta in latino in età umanistica, e da allora tradotta in molte delle principali lingue. I circoli danteschi sono attivi in tutto il mondo occidentale, a cominciare dalle sedi della Società Dante Alighieri[12] diffusa in tutto il mondo, malgrado i continui tagli vessatori a cui la sottopone il ministero della pubblica istruzione insieme al ministero degli esteri.

La Divina Commedia è punto di riferimento per una combinazione di elementi, essendo l’enciclopedia della cultura medievale e quindi della biblioteca di riferimento di questa cultura, ovvero la classicità greca e latina, la tradizione giudaico-cristiana, la conoscenza araba e pagana; ma è anche un punto assodato a cui si rivolgerà la cultura successiva a partire dalla formazione della lingua italiana e quindi delle espressioni culturali che in quella lingua avverranno; al di là di questo è una somma di conoscenze relative a quel tempo, ma talvolta anche inspiegabili, almeno parzialmente per quel tempo; il suo linguaggio infatti, talvolta, eccede dalla conoscenza per accedere ad una più sottile interpretazione della realtà, che per molti si inserisce nell’ambito dell’esoterismo[13].

Riprenderla in mano, con la funzione di utilizzarla come spunto di meditazione, ha per me vari livelli interpretativi: il primo più evidente è quello di un ritorno alle origini, si potrebbe dire, ma piuttosto preferisco definirla una ricerca sull’identità, sulle radici che reggono la storia dove sono nato, cresciuto e vissuto; in secondo luogo, è stata la considerazione di quanto la Divina Commedia sia poema di ascesi, di consapevolezza, di crescita individuale della persona, e quindi mi sembrava essere idonea a suggerire spunti per una meditazione come questa, che mensilmente si rinnova, che ha la finalità di rendere consapevoli le persone di alcuni fondamentali valori, che, prima di essere patrimonio di una religio, sono patrimonio dell’umanità e dell’umanità anche priva o privata di qualsivoglia spirito religioso; in terzo luogo, perché la Luna accompagna, nelle sue varie interpretazioni e simbologie, tutto il procedere dell’opera dantesca, con una preponderanza nella prima cantica, Inferno, in quanto in absentia lucis divini solis, la Luna è l’unico segnatempo.



[1]Convivio, IV, 23 6 e 9.
[2]Isaia XXXVIII, 10. 
[3]In un interessante sito, www.apiediperilmondo.com, vi si possono trovare spunti interessanti e almeno 10 validi motivi per mettersi in cammino. In un altro sito, www.illibraio.it, si può leggere un bel lavoro di Antonio Sanfrancesco, del 28.06.2016, dal titolo Mettersi in cammino verso Santiago e non solo, in cerca di risposte, in cui l’assunto principale è che i Cammini d’Europa non conoscono declino, e dove indica oltre il più noto cammino verso Santiago anche le altre storiche mete. Si tratta di un bel lavoro, che merita la lettura.
[4]”Via” è chiamata la vita, poiché ciascun uomo cammina verso una meta. Come coloro che durante la navigazione dormono o sono condotti spontaneamente dal vento in porto, anche se non se ne accorgono, (perché la corrente li spinge al compimento del loro viaggio), così anche noi, mentre il tempo della nostra vita scorre, ci affrettiamo, ciascuno verso il proprio fine, con il corso insensibile della nostra vita, come un movimento continuo e inesausto. Ad esempio, dormi e il tempo ti passa inosservato; vegli e sei irrequieto. Tuttavia, la via si consuma, anche se sfugge alla nostra percezione. Tutti noi uomini, dunque, corriamo una sorta di corsa, ciascuno affrettandoci verso il nostro fine. Perciò siamo in via. Così potresti intendere il significato di “via”. In questa via sei un viandante. Tutto tu oltrepassi, tutto resta dietro di te. Hai visto sulla strada un germoglio o dell’erba, o dell’acqua o qualunque altra cosa degna di essere osservata. Ne hai goduto un attimo, sei passato oltre. (Basilio, Om sul Sal.1)
[5]Apuleio, Metamorfosi, IV 28-VI 24.
[6]Su questa favola, si può consultare il bellissimo volume di T. Mantero, Amore e Psiche, struttura di una fiaba di magia, Istituto di Filologia Classica e medievale, 1973, nel quale sono riportare praticamente tutte le ascendenze e discendenze nella letteratura favolistica.
[7] A partire da J. Kerouac, che potremmo intendere come capostipite di questo filone, numerosi sono stati gli autori che hanno raccontato il loro mettersi in cammino, nella logica di mollare tutto per riappropriarsi della vita o per seguire un sogno o perché attratti dal fascino dell’ignoto. Si può consultare a questo proposito nel sito Booktobook, lo scritto 10 grandi romanzi on the road per andare oltre Jack Kerouac.
[8]Ai discepoli giunti sulle rive del Giordano, Gesù domanda: “Che cosa cercate?”. (Giovanni, I, 28-39)
[9]Si racconta che Gautama uscì dalla reggia all’età di 29 anni, e lì vide la sofferenza del mondo; si mise in cammino per diventare il Buddha; poco meno che trentenne era anche Saulo di Tarso, quando fu illuminato sulla via di Damasco, e divenne Paolo, l’Apostolo; Alexandra David Neel si mise in viaggio, poco più che quarantenne.
[10]Si decide il viaggio per cambiare se stessi, alla ricerca di una nuova identità, quanto meno, per conoscersi meglio, più a fondo, in un contesto più leggero, meno inibente. Si viaggia, in una parola, alla ricerca di sé stessi, ma poi, giunti alla meta, si trova che la propria anima è cambiata…A un certo punto il dolore, la dissonanza fra individuo e società, fra famiglia e lavoro, non è più sopportabile. Decido: mi alzo; esco; parto, partiamo…Si parte, anche senza saperlo, per trovare qualche cosa che si è perduto, un bene andato smarrito, ma non si trova la cosa desiderata, il valore sognato. Se ne trova un altro. Ma non si sa ancora che cosa sia, che cosa comporti. Di fatto, si parte alla ricerca della propria identità smarrita o debole o confusa, ma nel corso del viaggio l’identità che si va cercando cambia, inevitabilmente, si fanno nuovi incontri, e alla fine del viaggio ci si ritrova con una nuova, inedita, inaspettata identità. Uno parte alla ricerca di se stesso e finisce per ritrovare un altro che non gli somiglia, un sé sconosciuto, un intruso. Talvolta, basta un incontro in treno, un caffè preso insieme per caso, un amorazzo apparentemente insignificante, e la vita è cambiata. Il viaggio decongela l’identità, la rende mobile, itinerante, problematica. In questo senso, il viaggio…ha un effetto di deritualizzazione dell’esperienza personale, che può, al limite, intaccare i modi consueti dell’esperienza psichica e religiosa, provocarne un riorientamento profondo (Franco Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma 1999).
[11]Presso questo college è attivo il The Dartmouth Dante Project, al quale si rivolgono studiosi danteschi di tutto il mondo.
[12]Fondata nel 1889 grazie ad un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci che diramarono un “Manifesto agli italiani”, venne eretta la fondazione con Regio Decreto del 18 luglio 1893, n. 347; con Decreto Legge n. 186 del 27 luglio 2004 è assimilata, per struttura e finalità, alle ONLUS.
[13]Rimando per questo aspetto al libro di R. Guenon, L’esoterismo di Dante, nell’edizione Adelphi, 2001.

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