martedì 8 ottobre 2019

Introduzione al corso di YOGA terapeutico




1.                 
Nella massiccia adesione alla pratica dello Yoga, declinata in tutte le sue forme, più o meno consone, e persino più o meno legittimate dal chiamarsi con tale nome, si è fatta strada in molti proponenti “maestri” e in molti dei loro utenti, anche l’idea che lo Yoga possa guarire da tutti i mali, fisici e non, quasi fosse una sorta di panacea universale.
Si leggono parole a proposito di questa idea, che perplimono per la superficialità con cui vengono utilizzate, come se la pratica dello Yoga potesse guarire da mali del corpo e della mente attraverso pratiche, talvolta ridotte alla mera frequentazione di qualche seminario di pochi giorni di durata. Poco ci manca che venga proposto un qualche estratto da esibire alle fiere come elisir di eterna giovinezza.
Così, a costo anche di diventare impopolare, mi sento di esprimere con molta chiarezza che la pratica dello Yoga non è una medicina, e non cura nessuna malattia, e d’altra parte basta guardarsi intorno con occhio critico per comprendere quanto sia vero, altrimenti i suoi adepti sarebbero quanto meno immuni dalla più parte delle malattie, almeno da quelle più banali come l’influenza, il raffreddore, la tosse e quant’altro, quanto è possibile invece riscontrare durante una lezione di Yoga.
La pratica dello Yoga, senza innestarsi in un adeguato stile di vita e senza l’ausilio di opportune terapie, come insegna l’Ayurveda, che dello Yoga, attinente alla Spirito, è la componente corporale – due facce della stessa medaglia – da sola può veramente poco in termini di risanamento dai mali fisici, forse qualcosa di più può fare per il disagio emotivo, ma anche in questo caso lo stile di vita deve essere il quadro sicuro in cui inscrivere la pratica, e non possiamo neppure sottacere l’insegnamento chiave dell’Ayurveda ovvero che mente e corpo sono un’unità inscindibile, e neppure si può trascurare che i mali prima di manifestarsi nel corpo sono nati nella mente.
Se dunque la pratica Yoga può aiutare la mente a ritrovare il suo equilibrio, certamente il corpo ne avrà beneficio, soprattutto se questo nuovo impulso della mente indurrà a vivere secondo uno stile di vita salutare. Tutto questo percorso non può avvenire immediatamente, e sebbene si possano avvertire dei benefici anche dall’iniziale pratica di Yoga, il risultato di ottenere un migliore stato di salute non sarà certamente immediato, ma necessita di continuità: la pratica dello Yoga non può essere occasionale, affidata a qualche fine settimana in qualche luogo di fascinazione naturale, per quanto si debba ammettere che la frequentazione di scenari naturali sia beneficio per chiunque, a prescindere che essi siano goduti compiendo serene passeggiate o standosene comodamente sdraiati davanti all’orizzonte aperto o compiendo pratiche Yoga o anche semplici esercizi fisici.

2.             
Dovremmo forse meglio chiarire di cosa si parli quando si parla di Yoga, soprattutto quando se ne parla in relazione ad una sua funzione terapeutica; oggi il termine è utilizzato in modo talvolta decisamente inappropriato per indicare pratiche che con Yoga non hanno nulla a che fare, e il fatto stesso di dover specificare con un ulteriore appellativo, è già indicativo di una deformazione, in quanto la pratica Yoga di per sé non avrebbe bisogno di nessuna specificazione. Yoga della risata, ad esempio, per quanto possa essere gradevole e di liberazione di emozioni represse, con lo Yoga ha ben poco a che fare; alla stessa stregua immaginare che Yoga possa essere pratica ascritta fra le discipline sportive o parasportive, è travisare completamente il senso dello Yoga, che di per sé non può essere competizione, neppure con sé stessi: la pratica dello sport prevede la competizione o anche semplicemente la ricreazione; Yoga non prevede competizione, anche se ahimè oggi molti si espongono e si propongono con questo intento, e non è ricreazione, anzi è impegno.
È sufficiente scorrere i post di un qualsivoglia social network per rendersi conto di come la parola Yoga sia piegata alle più diversificate proposte, congiunte all’offerta di soggiorno relax in SPA o in agriturismo o in luoghi naturali di grande pregio e piacevolezza, come sia congiunta all’occasione di festività come il Capodanno piuttosto che il Ferragosto, insomma uno specchietto buono per tante allodole, per non parlare dell’ultima proposta che ho visto comparire che è l’AperiYoga.
Yoga non è una medicina, pertanto non guarisce; può essere un valido aiuto, questo è indubitabile, ma non si può prescindere da uno stile di vita sano, e per questo si avvale dell’Ayurveda, tanto che si può, a ragion veduta affermare che Yoga e Ayurveda sono due facce della stessa medaglia, la prima volta al sostegno soprattutto della mente e la seconda soprattutto del fisico. Separare questi due aspetti della medesima filosofia di vita, come ormai avviene solitamente, è già di per sé disconoscere la funzione dello Yoga. 
L’esercizio fisico che lo Yoga, nella sua componete di Hatha Yoga, ovvero la pratica con asana e tecniche di respiro, propone, ha un grande potere di riequilibrio psicofisico, che possiamo a buon titolo chiamare terapeutico, ma non può prescindere dalla cura del corpo, da uno stile di vita appropriato; soltanto se integrato all’interno di un percorso, Hatha Yoga può avere prodigiosi effetti su alcuni organi interni, su alcune condizioni del corpo fisico, su alcune problematiche di tipo psicosomatico, e soprattutto sull’apparato locomotore. Tuttavia anche questo percorso terapeutico non ha nulla di miracoloso, non ha magici effetti di immediata percezione è, ed è bene ribadirlo, un percorso che richiede tempo e paziente dedizione; il miglioramento che può riscontrarsi in una parte del corpo fisico, si ottiene lentamente con applicazione, e talvolta, è utile anche questo ribadirlo, con applicazione quotidiana, non certo ottenibile attraverso un fine settimana o una settimana intera nel luogo delle meraviglie, dove si può stare certamente molto bene, imparare anche molte buone cose, ma non altrettanto certamente ottenere risultati miracolosi, come molti immaginano o si aspettano, restando poi, nel prosieguo delusi e rammaricati per la spesa inutilmente sostenuta, e contribuendo ad aumentare la schiera di quanti sostengono che praticare Yoga non serva a nulla. 

3.           
Prendendo in mano il più antico testo di Hatha Yoga, Hathapradipika di Swatmarama[1], in uno dei prime asana che vi sono descritti, Matsyendrasana, ci si imbatte in questo commento...la pratica di Matsyendrasana stimola il fuoco gastrico; si tratta di un’osservazione sulla finalità di un asana[2] oltre che sul piano meramente osteo-muscolare, sul piano fisico; poco dopo, descritta l’esecuzione di Mayurasana, l’autore aggiunge che questo asana...elimina rapidamente tutti i disturbi della milza e dello stomaco, preserva dai disordini degli umori (gastrici), alimenta il fuoco gastrico, difende dagli eccessi di cibo e persino dai veleni. Sono due esempi, che indicano quanto, fin dalla prima stesura di testi a noi noti, si ponesse di attenzione agli effetti che alcuni asana potevano avere anche per un corretto funzionamento degli organi interni; i suggerimenti che troviamo sparsi in buona parte delle descrizioni degli asana o delle tecniche di pranayama, sono per lo più indicati nel rispetto di quella che era l’anatomia e la fisiologia ayurvedica. Ed è di particolare interesse che all’inizio della V lezione si sottolinei la necessità di eseguire con correttezza i vari esercizi, sia di Hatha Yoga sia di Pranayama, fin qui proposti, avvertendo che...colui che pratica erroneamente lo Yoga può contrarre disturbi di Vata. Un’avvertenza che dovrebbe essere ben tenuta in considerazione ancora oggi, insieme al successivo consiglio di chiudere le sessioni di pratica con Shavasana, in quanto…assumendo (questa) posizione la muscolatura si rilassa totalmente e di conseguenza il Prana fluisce liberamente; il Prana è il respiro vitale, l’essenza stessa della vita.
Il linguaggio squisitamente legato alla cultura in cui erano state prodotte sia l’Ayurveda sia lo Yoga non verrà superato fino alla pubblicazione del libro di Iyengar, pubblicato a Londra nel 1964[3], e scritto per un pubblico che era ormai al di fuori dell’India, nel mondo, dove la pratica di Yoga aveva cominciato a diffondersi, e per questa stessa ragione Iyengar nella prefazione sentì di dover scrivere che...tutti i commentari antichi sullo Yoga hanno sottolineato che è essenziale lavorare sotto la direzione di un Guru (maestro) e, sebbene la mia esperienza provi la saggezza di questa regola, in questo libro ho tentato, con tutta umiltà, di guidare il lettore – sia maestro che studente – ad un metodo corretto e sicuro per imparare le posizioni (Asana) e le tecniche respiratorie (Pranayama). L’autore era consapevole sia che la pratica dello Yoga aveva ormai travalicato i confini dell’India, sia che essa aveva inevitabilmente cominciato a diffondersi al di là della formazione tradizionale all’interno dell’India. Per questo dopo una lunga dettagliata esposizione della filosofia che sottende la pratica dello Yoga, e dopo aver dato i contenuti base dello stile di vita, che deve accompagnare questa pratica, l’autore comincia a descrivere le singole asana e per ognuna di queste fornisce i benefici, che riguardano sia la struttura osteo-muscolare, sia il corpo nella sua interezza, sia la componente mentale.
Il libro di Iyengar uscì in traduzione italiana nel 1993, quando si cominciava anche nel nostro paese a confrontarsi con le nuove filosofie orientali, con la Medicina tradizionale cinese, con l’Ayurveda e con la pratica Yoga. La prima traduzione italiana di Hathapradipika risale al 1970, a cura di una piccola coraggiosa casa editrice di Torino, Savitry, ma il libro ebbe una diffusione limitata e restò prezioso documento di una ristretta cerchia di cultori; nel 1975 fu pubblicato per conto di Mursia, il testo di A. Van Lysebeth, Imparo lo Yoga, stampato a Parigi sette anni prima e che corredava la descrizione dell’esecuzione degli asana con indicazioni sui benefici che esse potevano produrre sugli organi interni e sulla salute del corpo nella sua interezza, dove fra l’altro si trova una bellissima analisi relativa all’adattamento della pratica fuori dall’India…l’occidentale che consulti la letteratura sullo Yoga può essere frastornato dalla divergenza di idee fra gli autori, sia per quanto riguarda la frequenza che varia da una a più esecuzioni quotidiane, sia per la durata consigliata che oscilla da qualche secondo fino a venti minuti. Dov’è la verità, chi sbaglia? Nessuno. Da un certo punto di vista tutti hanno ragione. Basta capirsi. Vi sono vari modi di praticare lo Yoga. Lo yogi indiano pratica diverse volte al giorno e mantiene le posizioni fino a venti minuti. Ma l’adepto occidentale che dispone di solo mezz’ora al giorno da consacrare allo yoga dovrà riservare alle posizioni in media due o tre minuti. Più di quaranta anni fa, Van Lysebeth aveva colto quale profonda differenza si stesse definendo fra Yoga praticato in India dagli Yogi e Yoga praticato in Occidente da adepti, spesso come aveva indicato Iyengar, anche senza alcun maestro.

4.          
Da questi stimoli editoriali si muove la concezione di poter utilizzare la pratica Yoga in forma mirata, finalizzata a ristabilire l’equilibrio psicofisico in una parte del corpo o in un suo ambito precipuo, concezione che a sua volta ha prodotto una interessante bibliografia, con alcuni pregevoli testi, che giunge fino ai libri, che allo stato attuale rappresentano una summa, di Gabriella Cella e di Amadio Bianchi. La ragione più profonda di scegliere sequenze di Hatha Yoga in forma definita, o meglio sarebbe chiamare mirata, per raggiungere un preciso obiettivo, consiste tuttavia proprio in quell’aspetto di differenza che van Lysebeth aveva colto, ovvero che bisogna restringere la propria attività in un tempo limitato: se il tempo è poco, meglio è dunque concentrarsi nel raggiungimento di un obiettivo.
La pratica di una sequenza mirata alla risoluzione di un problema, condotta con perseveranza, se inserita in un adeguato stile di vita, può divenire un valido aiuto, può in alcuni casi offrire una soluzione definitiva ad un problema; tuttavia ad essa non si deve chiedere più di quello che può dare, per cui non si deve sopravvalutarne il benefico effetto fino ad immaginare che possa essere la panacea per ogni male o l’elisir di lunga vita. Yoga chiede pazienza e dedizione, solo a queste condizioni fornisce un contributo alla stabilità psicofisica.
La ricerca di una sequenza idonea alle problematiche individuali, che è naturalmente una specializzazione all’interno di un percorso di yoga, non può essere frutto di immaginazione o di scelte condotte da autodidatta, ma deve essere affidata a chi ha una conoscenza della pratica di Yoga e dell’Ayurveda, che ne è il complemento indispensabile quando si tratta della salute del corpo.





[1] Il testo apparve in India nel periodo compreso fra il secolo XIV e il XVI della nostra Era. Oggi consultabile nel testo a cura di Domenico Di Marzo, Libreria Editrice Psiche, 2011.
[2] Asana è un termine sanscrito, neutro. Per convenzione i nomi neutri di altre lingue vengono traportati nella lingua italiana nel genere maschile.
[3] Una breve panoramica di come Yoga si sia diffuso in Occidente la trovate qui: Guido N. Zazzu - Le Vie dello Yoga attraverso gli occhi dell'Occidente.

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