Nella
massiccia adesione alla pratica dello Yoga, declinata in tutte le sue forme,
più o meno consone, e persino più o meno legittimate dal chiamarsi con tale
nome, si è fatta strada in molti proponenti “maestri” e in molti dei loro
utenti, anche l’idea che lo Yoga possa guarire da tutti i mali, fisici e non,
quasi fosse una sorta di panacea universale.
Si leggono
parole a proposito di questa idea, che perplimono per la superficialità con cui
vengono utilizzate, come se la pratica dello Yoga potesse guarire da mali del
corpo e della mente attraverso pratiche, talvolta ridotte alla mera
frequentazione di qualche seminario di pochi giorni di durata. Poco ci manca
che venga proposto un qualche estratto da esibire alle fiere come elisir di
eterna giovinezza.
Così, a
costo anche di diventare impopolare, mi sento di esprimere con molta chiarezza
che la pratica dello Yoga non è una medicina, e non cura nessuna malattia, e
d’altra parte basta guardarsi intorno con occhio critico per comprendere
quanto sia vero, altrimenti i suoi adepti sarebbero quanto meno immuni dalla
più parte delle malattie, almeno da quelle più banali come l’influenza, il
raffreddore, la tosse e quant’altro, quanto è possibile invece riscontrare
durante una lezione di Yoga.
La pratica
dello Yoga, senza innestarsi in un adeguato stile di vita e senza l’ausilio di
opportune terapie, come insegna l’Ayurveda, che dello Yoga, attinente alla
Spirito, è la componente corporale – due facce della stessa medaglia – da sola
può veramente poco in termini di risanamento dai mali fisici, forse qualcosa di
più può fare per il disagio emotivo, ma anche in questo caso lo stile di vita
deve essere il quadro sicuro in cui inscrivere la pratica, e non possiamo
neppure sottacere l’insegnamento chiave dell’Ayurveda ovvero che mente e corpo
sono un’unità inscindibile, e neppure si può trascurare che i mali prima di manifestarsi
nel corpo sono nati nella mente.
Se dunque
la pratica Yoga può aiutare la mente a ritrovare il suo equilibrio, certamente
il corpo ne avrà beneficio, soprattutto se questo nuovo impulso della mente
indurrà a vivere secondo uno stile di vita salutare. Tutto questo percorso non
può avvenire immediatamente, e sebbene si possano avvertire dei benefici anche
dall’iniziale pratica di Yoga, il risultato di ottenere un migliore stato di
salute non sarà certamente immediato, ma necessita di continuità: la pratica
dello Yoga non può essere occasionale, affidata a qualche fine settimana in
qualche luogo di fascinazione naturale, per quanto si debba ammettere che la
frequentazione di scenari naturali sia beneficio per chiunque, a prescindere
che essi siano goduti compiendo serene passeggiate o standosene comodamente
sdraiati davanti all’orizzonte aperto o compiendo pratiche Yoga o anche
semplici esercizi fisici.
2.
Dovremmo
forse meglio chiarire di cosa si parli quando si parla di Yoga, soprattutto
quando se ne parla in relazione ad una sua funzione terapeutica; oggi il
termine è utilizzato in modo talvolta decisamente inappropriato per indicare
pratiche che con Yoga non hanno nulla a che fare, e il fatto stesso di dover
specificare con un ulteriore appellativo, è già indicativo di una deformazione,
in quanto la pratica Yoga di per sé non avrebbe bisogno di nessuna
specificazione. Yoga della risata, ad esempio, per quanto possa essere
gradevole e di liberazione di emozioni represse, con lo Yoga ha ben poco a che
fare; alla stessa stregua immaginare che Yoga possa essere pratica ascritta fra
le discipline sportive o parasportive, è travisare completamente il senso dello
Yoga, che di per sé non può essere competizione, neppure con sé stessi: la pratica
dello sport prevede la competizione o anche semplicemente la ricreazione; Yoga
non prevede competizione, anche se ahimè oggi molti si espongono e si
propongono con questo intento, e non è ricreazione, anzi è impegno.
È sufficiente
scorrere i post di un qualsivoglia social network per rendersi conto di come la
parola Yoga sia piegata alle più diversificate proposte, congiunte all’offerta
di soggiorno relax in SPA o in agriturismo o in luoghi naturali di grande
pregio e piacevolezza, come sia congiunta all’occasione di festività come il
Capodanno piuttosto che il Ferragosto, insomma uno specchietto buono per tante
allodole, per non parlare dell’ultima proposta che ho visto comparire che è l’AperiYoga.
Yoga non è
una medicina, pertanto non guarisce; può essere un valido aiuto, questo è
indubitabile, ma non si può prescindere da uno stile di vita sano, e per questo
si avvale dell’Ayurveda, tanto che si può, a ragion veduta affermare che Yoga e
Ayurveda sono due facce della stessa medaglia, la prima volta al sostegno
soprattutto della mente e la seconda soprattutto del fisico. Separare questi
due aspetti della medesima filosofia di vita, come ormai avviene solitamente, è
già di per sé disconoscere la funzione dello Yoga.
L’esercizio
fisico che lo Yoga, nella sua componete di Hatha Yoga, ovvero la pratica con
asana e tecniche di respiro, propone, ha un grande potere di riequilibrio
psicofisico, che possiamo a buon titolo chiamare terapeutico, ma non può
prescindere dalla cura del corpo, da uno stile di vita appropriato; soltanto se
integrato all’interno di un percorso, Hatha Yoga può avere prodigiosi effetti
su alcuni organi interni, su alcune condizioni del corpo fisico, su alcune
problematiche di tipo psicosomatico, e soprattutto sull’apparato locomotore. Tuttavia
anche questo percorso terapeutico non ha nulla di miracoloso, non ha magici effetti
di immediata percezione è, ed è bene ribadirlo, un percorso che richiede tempo
e paziente dedizione; il miglioramento che può riscontrarsi in una parte del
corpo fisico, si ottiene lentamente con applicazione, e talvolta, è utile anche
questo ribadirlo, con applicazione quotidiana, non certo ottenibile attraverso
un fine settimana o una settimana intera nel luogo delle meraviglie, dove si
può stare certamente molto bene, imparare anche molte buone cose, ma non
altrettanto certamente ottenere risultati miracolosi, come molti immaginano o
si aspettano, restando poi, nel prosieguo delusi e rammaricati per la spesa
inutilmente sostenuta, e contribuendo ad aumentare la schiera di quanti
sostengono che praticare Yoga non serva a nulla.
3.
Prendendo
in mano il più antico testo di Hatha Yoga, Hathapradipika
di Swatmarama[1], in uno
dei prime asana che vi sono descritti, Matsyendrasana, ci si imbatte in questo commento...la pratica di Matsyendrasana stimola il
fuoco gastrico; si tratta di
un’osservazione sulla finalità di un asana[2] oltre che sul piano meramente osteo-muscolare, sul piano fisico; poco dopo,
descritta l’esecuzione di Mayurasana,
l’autore aggiunge che questo asana...elimina
rapidamente tutti i disturbi della milza e dello stomaco, preserva dai
disordini degli umori (gastrici),
alimenta il fuoco gastrico, difende dagli eccessi di cibo e persino dai veleni.
Sono due esempi, che indicano quanto, fin dalla prima stesura di testi a noi
noti, si ponesse di attenzione agli effetti che alcuni asana potevano avere
anche per un corretto funzionamento degli organi interni; i suggerimenti che
troviamo sparsi in buona parte delle descrizioni degli asana o delle tecniche
di pranayama, sono per lo più indicati nel rispetto di quella che era
l’anatomia e la fisiologia ayurvedica. Ed è di particolare interesse che
all’inizio della V lezione si sottolinei la necessità di eseguire con
correttezza i vari esercizi, sia di Hatha Yoga sia di Pranayama, fin qui
proposti, avvertendo che...colui che
pratica erroneamente lo Yoga può contrarre disturbi di Vata. Un’avvertenza
che dovrebbe essere ben tenuta in considerazione ancora oggi, insieme al
successivo consiglio di chiudere le sessioni di pratica con Shavasana, in
quanto…assumendo (questa) posizione la muscolatura si rilassa
totalmente e di conseguenza il Prana fluisce liberamente; il Prana è il
respiro vitale, l’essenza stessa della vita.
Il
linguaggio squisitamente legato alla cultura in cui erano state prodotte sia
l’Ayurveda sia lo Yoga non verrà superato fino alla pubblicazione del libro di
Iyengar, pubblicato a Londra nel 1964[3],
e scritto per un pubblico che era ormai al di fuori dell’India, nel mondo, dove
la pratica di Yoga aveva cominciato a diffondersi, e per questa stessa ragione
Iyengar nella prefazione sentì di dover scrivere che...tutti i commentari antichi sullo Yoga hanno sottolineato che è
essenziale lavorare sotto la direzione di un Guru (maestro) e, sebbene la mia
esperienza provi la saggezza di questa regola, in questo libro ho tentato, con
tutta umiltà, di guidare il lettore – sia maestro che studente – ad un metodo
corretto e sicuro per imparare le posizioni (Asana) e le tecniche respiratorie (Pranayama). L’autore era consapevole
sia che la pratica dello Yoga aveva ormai travalicato i confini dell’India, sia
che essa aveva inevitabilmente cominciato a diffondersi al di là della
formazione tradizionale all’interno dell’India. Per questo dopo una lunga
dettagliata esposizione della filosofia che sottende la pratica dello Yoga, e
dopo aver dato i contenuti base dello stile di vita, che deve accompagnare
questa pratica, l’autore comincia a descrivere le singole asana e per ognuna di
queste fornisce i benefici, che riguardano sia la struttura osteo-muscolare,
sia il corpo nella sua interezza, sia la componente mentale.
Il libro
di Iyengar uscì in traduzione italiana nel 1993, quando si cominciava anche nel
nostro paese a confrontarsi con le nuove filosofie orientali, con la Medicina
tradizionale cinese, con l’Ayurveda e con la pratica Yoga. La prima traduzione
italiana di Hathapradipika risale al
1970, a cura di una piccola coraggiosa casa editrice di Torino, Savitry,
ma il libro ebbe una diffusione limitata e restò prezioso documento di una
ristretta cerchia di cultori; nel 1975 fu pubblicato per conto di Mursia,
il testo di A. Van Lysebeth, Imparo lo
Yoga, stampato a Parigi sette anni prima e che corredava la descrizione
dell’esecuzione degli asana con indicazioni sui benefici che esse potevano
produrre sugli organi interni e sulla salute del corpo nella sua interezza,
dove fra l’altro si trova una bellissima analisi relativa all’adattamento della
pratica fuori dall’India…l’occidentale
che consulti la letteratura sullo Yoga può essere frastornato dalla divergenza
di idee fra gli autori, sia per quanto riguarda la frequenza che varia da una a
più esecuzioni quotidiane, sia per la durata consigliata che oscilla da qualche
secondo fino a venti minuti. Dov’è la verità, chi sbaglia? Nessuno. Da un certo
punto di vista tutti hanno ragione. Basta capirsi. Vi sono vari modi di
praticare lo Yoga. Lo yogi indiano pratica diverse volte al giorno e mantiene
le posizioni fino a venti minuti. Ma l’adepto occidentale che dispone di solo
mezz’ora al giorno da consacrare allo yoga dovrà riservare alle posizioni in
media due o tre minuti. Più di quaranta anni fa, Van Lysebeth aveva colto
quale profonda differenza si stesse definendo fra Yoga praticato in India dagli
Yogi e Yoga praticato in Occidente da adepti, spesso come aveva indicato
Iyengar, anche senza alcun maestro.
4.
Da questi
stimoli editoriali si muove la concezione di poter utilizzare la pratica Yoga
in forma mirata, finalizzata a ristabilire l’equilibrio psicofisico in una
parte del corpo o in un suo ambito precipuo, concezione che a sua volta ha
prodotto una interessante bibliografia, con alcuni pregevoli testi, che giunge
fino ai libri, che allo stato attuale rappresentano una summa, di Gabriella Cella
e di Amadio Bianchi. La
ragione più profonda di scegliere sequenze di Hatha Yoga in forma definita, o
meglio sarebbe chiamare mirata, per
raggiungere un preciso obiettivo, consiste tuttavia proprio in quell’aspetto di
differenza che van Lysebeth aveva colto, ovvero che bisogna restringere la
propria attività in un tempo limitato: se il tempo è poco, meglio è dunque
concentrarsi nel raggiungimento di un obiettivo.
La pratica
di una sequenza mirata alla risoluzione di un problema, condotta con
perseveranza, se inserita in un adeguato stile di vita, può divenire un valido
aiuto, può in alcuni casi offrire una soluzione definitiva ad un problema;
tuttavia ad essa non si deve chiedere più di quello che può dare, per cui non
si deve sopravvalutarne il benefico effetto fino ad immaginare che possa essere
la panacea per ogni male o l’elisir di lunga vita. Yoga chiede pazienza e
dedizione, solo a queste condizioni fornisce un contributo alla stabilità
psicofisica.
La ricerca
di una sequenza idonea alle problematiche individuali, che è naturalmente una
specializzazione all’interno di un percorso di yoga, non può essere frutto di
immaginazione o di scelte condotte da autodidatta, ma deve essere affidata a
chi ha una conoscenza della pratica di Yoga e dell’Ayurveda, che ne è il complemento
indispensabile quando si tratta della salute del corpo.
[1] Il testo apparve in India
nel periodo compreso fra il secolo XIV e il XVI della nostra Era. Oggi
consultabile nel testo a cura di Domenico Di Marzo, Libreria Editrice Psiche,
2011.