lunedì 22 maggio 2017

WESAK 2017

Riportiamo di seguito una parte del discorso tenuto dal prof. Guido Nathan Zazzu, in occasione della celebrazione della cerimonia del Wesak tenutasi mercoledì 10 maggio:

Il Wesak, che noi stasera ci apprestiamo a celebrare, è quello Acquariano, da distinguere da quello Buddhista che, in questo anno, cadrà nel plenilunio dei Gemelli.

Entrambi si fondano sulla ricorrenza della morte del Buddha, ma trovano poi differenti collocazioni secondo i calendari che vengono utilizzati; la stessa cosa accade per la Pasqua cristiana, che non soltanto è festa mobile, ma trova collocazioni differenti nelle diverse confessioni del Cristianesimo.

Tuttavia c’è una profonda differenza fra l’uno e l’altro, che non dipende soltanto da differenti calendari utilizzati. Infatti il Vesak Buddhista, che fra l’altro si tende a scrivere con la V semplice e non con la W, che invece caratterizza quello Acquariano, è una festa a carattere squisitamente religioso, che coinvolge quanti praticano il Buddhismo Tibetano, e ha origine lontanissime nel tempo - qualcuno sostiene fin da poco tempo dopo la morte del Buddha - e un rituale consolidato nel corso dei secoli.



Il Wesak Acquariano ha invece una connotazione spirituale, ma non religiosa, e un’origine abbastanza recente. Esso infatti prende le mosse dagli insegnamenti che Alice Bailey riceveva dal suo maestro ispiratore Djwahl Khul, che le suggerì di proporre il Wesak come una festa universalmente riconosciuta, utile a tutti gli uomini di buona volontà di tutte le fedi. È la festa dei due capi divini, quello dell’Oriente e dell’Occidente, chiamati a collaborare ed operare in unione per le sorti dell’Umanità…in quel giorno particolare in cui le energie universali sono disponibili in modo eccezionale.

Il maestro riferì ad Alice come avvenisse la celebrazione del Vesak Buddhista, nella valle del monte Kailash, alle pendici dell’Himalaya, informandola su tutto il rituale che la caratterizzava.

Il maestro Djwahl Khul suggeriva di assumere dal rito tibetano la festa del Vesak, per proporla all’umanità come una festa universalmente riconosciuta, utile a tutti gli uomini di buona volontà di tutte le fedi.

Si tratta di un messaggio estremamente chiaro che chiede di riconoscere universalmente una festa perché essa ha una utilità, e che sia aperta a tutti perché tutti ne traggano un beneficio, che tuttavia non è individuale, ma collettivo, e soltanto dal beneficio della collettività ognuno ne avrà parte.
Ripercorrendo le date delle comunicazioni di Djwahl Khun ad Alice Bailey, a proposito della celebrazione di questa ricorrenza, rileviamo che si situano fra la prima guerra mondiale e poco dopo il termine della seconda. La datazione è importante per comprendere la ragione profonda per la quale il Maestro intendeva chiamare a raccolta gli uomini, a prescindere dalla loro Fede, affinché fossero consapevoli dei rischi che stava correndo l’umanità; questo infine significa che ognuno, a qualunque Fede appartenga, è chiamato per invocare quei valori universali, che vengono proposti nella Grande Invocazione, senza nessun’altra finalità:

DAL PUNTO DI LUCE ENTRO LA MENTE DI DIO
AFFLUISCA LA LUCE NELLE MENTI DEGLI UOMINI
SCENDA LUCE SU TUTTA LA TERRA
DAL PUNTO DI AMORE ENTRO IL CUORE DI DIO
AFFLUISCA AMORE NEI CUORI DEGLI UOMINI
POSSA IL SOMMO MAESTRO, IL CRISTO DEGLI UOMINI,
TORNARE SULLA TERRA
DAL CENTRO DOVE IL VOLERE DI DIO È CONOSCIUTO
IL PROPOSITO GUIDI I PICCOLI VOLERI DEGLI UOMINI
IL PROPOSITO CHE I MAESTRI CONOSCONO E SERVONO
DAL CENTRO CHE VIENE DETTO GENERE UMANO
SI SVOLGA IL PIANO DI AMORE E DI LUCE
E POSSA SBARRARE LA PORTA DIETRO LA QUALE IL MALE RISIEDE
CHE LUCE AMORE FORZA
RISTABILISCANO IL PIANO DIVINO SULLA TERRA.

Il Maestro infatti non lascia neppure intuire che potrebbe trattarsi di una sorta di accesso ad una dimensione spirituale a scapito di una appartenenza ad una Fede. Molte persone, che mal intendono il messaggio, pensano di poter trovare, partecipando a questa celebrazione, una nuova Fede, e di poter abbandonare così la loro di appartenenza, perché forse divenuta labile, flebile, insoddisfacente, esausta. Non è così: il Wesak non rappresenta una nuova Fede, anzi, questo sarebbe persino contrario allo spirito del Wesak Acquariano, che non è una forma di religione e nemmeno un aspetto di una religione, potremmo se mai dire che è una comunione di tante Fedi differenti, che trovano un loro comune denominatore nel proporre, difendere e invocare quei valori espressi nella Grande Invocazione, e, per questo, non si prefigge il progetto di creare una sorta di religione universale.

Evidentemente il globalismo imperante e il relativismo, che connota tanta parte della nostra società e così tante volte denunciato dall’inascoltato o frainteso Benedetto XVI, inducono molti a ritenere che la pratica del Wesak possa rappresentare una nuova forma di religiosità, magari una sorta di bazar comprensivo di tante altre Fedi, un jolly in più per aprirsi le porte del Paradiso o per esorcizzare la pesantezza del Karma.

Non è così.


Anzi, a me parrebbe che si può partecipare ad un rito Universale, soltanto se si ha ben chiaro chi si sia, da dove si venga e dove si voglia andare, e comprendere la ragione profonda per cui si è scelto di partecipare: il fatto stesso di nascere in un luogo, con caratteristiche sue proprie di cultura e di religiosità, che si esprimono anche in una lingua cosiddetta materna, connota ognuno di noi; ognuno potrà, nel corso della sua vita, compiere le scelte che ritiene opportune per la sua evoluzione, ma non potrà cancellare l’impronta della storia da cui proviene, anzi, nell’operare le sue scelte, pur legittime, dovrà sempre tenere presente da dove viene e domandarsi le ragioni profonde per cui ha dovuto imparare a distaccarsene e a scegliere un altro percorso. Potrebbe sembrare ovvio che le scelte di nuovi percorsi religiosi o financo spirituali si fondino su un’attenta valutazione di ciò da cui ci si discosta, ma non è così, infatti troppe volte la ricerca di nuovi percorsi è dettata dal desiderio di nuovo o dal bisogno di qualcosa che si pensa di non poter più trovare in ciò che si ha, vuoi perché è venuta meno un'attenta conoscenza, vuoi perché si avverte come di appartenere a qualcosa di decrepito, sormontato da nuove ideologie, vuoi perché si è attratti dalla fascinazione dell’esotico, di per sé, a prescindere da una seria conoscenza di ciò che attrae.

Aderire al Wesak significa semplicemente aver compreso che ogni appartenente all’Umanità può portare la sua invocazione, con il suo bagaglio personale di storia e di Fede o di assenza di Fede o di smarrimento spirituale, con l’obiettivo di contribuire a rendere un servizio all’Umanità. Non si aderisce al Wesak immaginando di poter prendere qualcosa che non si trova da altre parti e che spesso, mi parrebbe, non si trova perché in modo pregiudiziale non ci si identifica più con il mondo di appartenenza, con la storia da cui si proviene, con il linguaggio appreso nella prima infanzia.

Quando ci poniamo nel silenzio della meditazione di questa particolare celebrazione, noi ci poniamo in sintonia con gli altri, con tutti quelli che sono intorno a noi e con tutti quelli che nello stesso giorno, in differenti parti del mondo, come noi, si pongono a partecipare di questo rito; e ci poniamo in comunione anche con quanti invece non ne hanno la facoltà, la conoscenza, la possibilità; nel silenzio che precede il bere l’acqua sacralizzata dalla vibrazione dell’energia di quanti partecipano, non ci poniamo per prendere qualcosa, per dissetare una nostra sete, per soddisfare un nostro bisogno di Sacro, per compensare un nostro vuoto interiore. Altri luoghi e altre cerimonie sono previste nel mondo per soddisfare tutto questo.

L’acqua sacralizzata dalla nostra vibrazione attraverso il simbolo della presenza del Cristo e del Buddha è il simbolo di una Forza universale, che ognuno può contribuire a realizzare con la sua dedizione, con la sua partecipazione; berne tutti insieme è un simbolo di comunione, di uguaglianza, che si fonda sul comune sentire e non sul comune appartenere: ognuno è, con la sua storia, la sua identità, la sua anima, i suoi amori e le sue pene, con la sua ricchezza e le sue mancanze e ognuno porta quel che ha, quel che può, in questo incontro. È possibile che il suo Spirito ne goda e ne tragga utilità, ma non è questo l’obiettivo primario del Wesak.

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