venerdì 13 gennaio 2017

Il sentiero dell’Ayurveda

Potrebbe quasi sembrare superfluo parlare di Ayurveda nella attuale società, in poco più di 25 anni, l’Ayurveda è diventata patrimonio dell’Occidente; Richard Gere, i Beatles, Jane Fonda, con i loro guru Osho e Maharishi, sono stati i catalizzatori di un’attenzione popolare che ha fatto dell’Ayurveda una sorta di panacea di tutti i tormenti derivanti dallo stress, di cui l’Occidente, che ha messo il suo dio al polso, è preda. 
Chi oggi non ha conoscenza del massaggio ayurvedico o della dieta ayurvedica, e allora cos’altro allora ci sarebbe da dire? Eppure raccolgo la sfida, e magari comincio a parlare dell’etimologia del nome. 
Da vecchio professore di lingue classiche, mi piace sempre partire dai nomi delle cose, e dal nome Ayurveda mi pare che forse si possa ancora dire qualcosa.
Ayurveda è una parola sanscrita formata da due parole: Ayus e Veda; Ayus significa Vita e Veda significa Conoscenza, Scienza, Sapere, ma anche Percezione; è la radice di quel verbo greco Voida, che esiterà nel latino Video. 
Nella più parte delle traduzioni è invalso l’uso di tradurre scienza. Quindi Ayurveda, scienza della vita. Fu soprattutto la cultura anglosassone prima e germanica poi, che avviarono questa lettura nel XVIII/XIX secolo, quando però scienza valeva ancora come disciplina che aveva trovato una sua sistemazione, e non aveva ancora assunto i connotati che il termine scienza ha acquisto nel XX secolo; l’Ayurveda così interpretata diviene un sistema e come tale spesso viene intesa, un sistema, una scienza, per cui lascia presupporre che abbia anche delle precise indicazioni valide per tutti.
Ora trascuro momentaneamente tutta una serie di considerazioni su questo aspetto, per soffermarmi invece sulla più corretta traduzione, che, in base anche al fatto che il termine Veda nasce all’interno della cultura Vedica, è necessariamente Conoscenza o Sapienza. 
Conoscenza che vuole dire esattamente?
“Conoscenza” è un termine dalle molteplici sfumature e da vari significati, che possono mutare a seconda del contesto, ma sempre ha precisa attinenza con i concetti di significato, informazione, istruzione, comunicazione, rappresentazione, apprendimento e persino stimolo mentale. È differente dalla semplice informazione: la conoscenza è una particolare forma di sapere, dotata di una sua utilità. Mentre l’informazione può esistere indipendentemente da chi la possa utilizzare, e quindi può in qualche modo essere preservata su un qualche tipo di supporto (cartaceo, informatico, ecc.), la conoscenza esiste solo in quanto c’è una mente in grado di possederla.
Fondamentalmente la Conoscenza esiste solo quando un’intelligenza possa essere in grado di utilizzarla.
Nella nostra filosofia occidentale, si descrive spesso la conoscenza come informazione associata all’intenzionalità. 
Lo studio della conoscenza in filosofia è affidato all’epistemologia (che si interessa della conoscenza come esperienza o scienza ed è quindi orientata ai metodi ed alle condizioni della conoscenza) ed alla gnoseologia (che si ritrova nella tradizione filosofica classica e riguarda i problemi a priori della conoscenza in senso universale).
Ecco spiegato dunque perché preferisco conoscenza della vita a scienza della vita, perché l’Ayurveda chiama in causa diretta chi vuole fruirla, non è soltanto un catalogo di informazioni, un libro di ricette, è un patrimonio che si rivolge ad ognuno di noi da millenni e dovunque noi siamo, ma non per fornirci indicazioni, ma perché ognuno di noi la conosca, la possa fare propria in base alle sue personali condizioni, e solo allora potrà viverla, camminare sul suo sentiero. 
L’Ayurveda è ben oltre i suoi massaggi e le sue ricette culinarie, e insisto sul ben oltre; celiando potrei dire che sapere come si cucina l’uovo alla coque o come farsi la tisana di zenzero non significa che siamo cuochi. E vorrei anche aggiungere che raccogliere informazioni su come si gioca a tennis, non significa saper giocare a tennis.
Insisto su questo, che potrebbe sembrare un giocare con le parole, ma non lo è, è una questione di sostanza e di senso. 
Conoscere pezzi di terapie ayurvediche o aver tratto qualche indicazione dietetica, aver raccolto informazioni non solo è riduttivo, ma è al di là dell’Ayurveda, in quanto usarne terapie o utilizzarne diete fa parte di mode transeunti e così come oggi si usano queste, domani se ne useranno altre, senza essere stati neppure sfiorati dall’essenza dell’Ayurveda.
Un piccolo assaggio.
Apriamo il più antico testo di Ayurveda, il Charaka Samhita, datato tradizionalmente intorno alla fine del II millennio a.C.. Si apre con il primo argomento, che è la durata della vita. Dopo aver spiegato che l’Ayurveda fu ricevuta da Prajapati, il signore degli umani, direttamente da Brahma, principio del Creatore, fu da lui consegnata, quando apparvero le malattie, causa di numerosi ostacoli a vivere in equilibrio, a correggere gli errori, a praticare digiuni e astinenze, allo studio, alla giusta condotta sociale, ai grandi saggi, che si erano rivolti a lui Prajapati, recandosi in un luogo segreto dei contrafforti dell’Himalaya per incontrarlo, a chiedere cosa fare per l’umanità, afflitta dalle malattie.
Ora, da queste breve resoconto ristretto, che tuttavia è descritto nei primi 14 versetti del Charaka Samhita, si possono già dedurre due concetti di rilievo: il primo è che i grandi saggi per ottenere l’Ayurveda si erano messi su un sentiero, metafora del viaggio che ognuno deve compiere per entrare in una dimensione diversa, che lo aiuti ad avere consapevolezza di sé; il secondo è che vivere in equilibrio, e quindi evitare le malattie, è una responsabilità non solo individuale, ma sociale, e che la malattia genera ostacoli non solo all’individuo, ma alla giusta condotta sociale.
Ma cosa significa vivere in equilibrio, che è la traduzione del termine sanscrito Svastha, che potremmo anche tradurre essere in bolla, ed anche essere contenuti in sé, ovvero non essere preda di ciò che proviene dall’esterno di noi. 
A fornirci la spiegazione ci pensa Charaka, pochi righe dopo, e siamo nei primi 16 versetti della sua opera, che potremmo chiamare la chiave interpretativa di tutta l’opera.
Tre sono i principi fondamentali dell’esistenza terrena (ma il termine principi potrebbe essere anche tradotto come valore o come pilastro o come fondamento - cambiano le sfumature, ma non il senso): il primo è il rispetto delle regole per restare in armonia con l’ordine universale (Dharma); l’Uomo è all’interno di un complesso sistema, che è l’Universo, che si manifesta all’Uomo nella sua componente microcosmica: ognuno vive in un microcosmo, e tutti insieme nell’Universo; questa comunione di appartenenza dell’Uomo con l’Universo, si fonda su una serie di regole che potremmo chiamare di buona convivenza; ma significa anche che l’Uomo non può essere considerato se non all’interno dell’Universo. Credo di poter affermare, senza ombra di dubbio, che si tratta della prima definizione dell’Olismo, e non mi pare poco. Il secondo principio è la realizzazione e la gestione dei beni materiali (Artha): senza beni materiali non si può governare la propria vita, di conseguenza non si può adempiere a quelle regole per restare in armonia con l’Universo, soprattutto non si può pensare alla propria salute, che è prima di pensare alla cura delle malattie. 
Su questo tema, Charaka ritornerà in più occasioni per esplicitare questo concetto, per insistere sul fatto che occorre avere i beni materiali per poter provvedere ad un’alimentazione corretta e ad uno stile di vita adeguato. La cura, quasi maniacale, per la scelta dell’alimentazione adatta alla propria costituzione fisica, all’età, al clima e all’ambiente in cui si vive, che l’Ayurveda propone, richiede possibilità di scelta, che si fonda sulla capacità economica. 
Non si parla qui di arricchimento, ma di realizzare quel livello di tenore economico, che consenta questa prima fondamentale capacità di scelta, perché sono tre le risorse che abbiamo per vivere, il respiro, il sonno, il cibo; possiamo imparare a respirare, e per questo si è costituito il ricco programma del Pranayama, tecniche di respiro, ma non possiamo scegliere la qualità del Prana, ovvero del respiro che respiriamo; e questo aspetto è vero proprio e soprattutto nella nostra società; il sonno dipende da molti fattori, la più parte esterni da noi, che non siamo in grado di controllare; e dunque è soltanto sul terzo, se possiamo permettercelo, che si può esplicare intera la nostra capacità di scegliere. Ma una buona alimentazione da sola non è sufficiente, in quanto si deve inserire in uno stile di vita, a cominciare dal rispetto del ritmo del giorno, delle stagioni, e dei mutamenti che l’età produce. Porre la giusta attenzione a tutte queste variabili, impone necessariamente che si sia in grado di farlo, ovvero si devono avere i mezzi materiali.
Ma la nostra vita, ne era profondamente consapevole l’Ayurveda, non si esaurisce in queste attenzioni, perché l’uomo è un animale sociale complesso, che si accoppia e procrea, e per questo matura dei legittimi desideri; il terzo principio è questo, la soddisfazione dei legittimi desideri per mezzo dei beni che legittimamente si sono acquisiti (Kama). 
Solo quando questi tre principi siano attuati è possibile orientare la nostra mente per il suo obiettivo fondamentale, che potremmo definire IV principio, ma in realtà altro non è che la logica conclusione dei primi tre principi, ovvero realizzare qualcosa di più alto dei doveri e dei beni accumulati, per indirizzarsi sul sentiero della spiritualità, che consenta l’emancipazione dalla dualità, il superamento del Karma, la liberazione dalla catena dell’incarnazione, per riunirsi allo Spirito Universale (Moksha).
E allora, ripetiamo la domanda, che cosa significa Svastha? Significa essere radicati in se stessi, realizzati sul piano sociale, in armonia con la Natura, con il gruppo che ci circonda, e con il tempo per poterci dedicare alla nostra evoluzione spirituale, che è il tempo per la pratica quotidiana dello Yoga, che rappresenta lo strumento per l’evoluzione spirituale.
E qui, si apre necessariamente una considerazione: Ayurveda e Yoga sono due facce della stessa medaglia, e una non vive senza l’altra, l’Ayurveda è il sostegno per il corpo, Yoga è il sostegno per lo spirito. 
Cosicché la pratica di qualche porzione delle tecniche ayurvediche, scisse dall’Ayurveda nella sua complessità, e dallo Yoga, pur restando piacevoli pratiche, non può in nessun modo rispondere ai principi dell’Ayurveda; e contestualmente la pratica dello Yoga senza il supporto dell’Ayurveda, resta un valido esercizio fisico rilassante, nulla di più.
Radicarsi in sé, vuole inoltre indicare la radice, la radice di noi stessi, che noi dobbiamo conoscere, perché è di lì che noi siamo quello che siamo. Conoscenza della radice, che è dentro di noi, costituita da essere individuo, unico, irripetibile, nato da due genitori, individui irripetibili, in un tempo e in uno spazio definiti. 
E tutto questo che definisce dunque l’Ayurveda come uno strumento, che ognuno, conoscendosi, dovrà adattare a se stesso; perché è differente vivere nel clima della Liguria rispetto a chi vive all’equatore o al polo, perché è stata differente la mia vita, essendo nato da due genitori normali cittadini, rispetto a chi è nato da due genitori con immense fortune o grande potere; perché è diversa la mia vita e diverso il mio corpo ora che ho l’età che ho, rispetto a quando avevo quindici anni. 
Ecco perché non può esistere una dieta ayurvedica, che presuppone che ci sia un’uguaglianza di fondo fra gli individui. 
L’Ayurveda dice cosa fa bene e cosa fa male alla nostra costituzione, relativamente a dove siamo ambientati, all’attività che svolgiamo, all’età che abbiamo, ecc., dopodiché si deve andare avanti da soli, sul nostro personale sentiero, indipendentemente da dove ci troviamo. 
L’Ayurveda è una sorta di cassetta degli attrezzi, che fornisce gli strumenti per conoscere noi stessi, come siamo fatti, la nostra costituzione, conoscere l’ambiente che ci circonda, per incamminarci sul sentiero della conoscenza, non diventare succubi di una scienza, esserne parte attiva. In alcuni casi possiamo aver bisogno di un Nishnat, uno specialista, il quale potrà intervenire nei momenti in cui la malattia ha preso il sopravvento, ma poi non potrà fare altro che indirizzarci affinché ci costruiamo la nostra cassetta degli attrezzi, il nostro stile di vita, all’interno del quale ci sarà l’alimentazione possibilmente adatta alla nostra costituzione e quant’altro ci aiuti a stare in buona salute.
L’Ayurveda è un sentiero per individui che siano pronti ad assumersi la responsabilità di se stessi, all’interno del mondo in cui sono collocati.

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